mercoledì 13 dicembre 2017

MENZOGNE

Menzogne e falsità


12/12/2017 10:30 CET


 


Potrebbe essere il titolo di un libro, come "Orgoglio e pregiudizio", "Delitto e Castigo", o di una pièce teatrale alla Eduardo Scarpetta, tipo "Miseria e Nobiltà".

Invece è la cronaca di questi giorni: è deflagrata improvvisamente - dopo essere rimasta a lungo sotto traccia - la questione delle fake news, come in gergo si definiscono le notizie inventate e prive di fondamento diffuse dai media, in particolare su web, tramite social network. Giusto per intenderci sui termini: le fake news sono notizie false e menzognere, in forma di scritti, immagini, fotografie, più spesso un cocktail esplosivo di tutte queste forme, messe scientemente in circolazione nella rete per creare disorientamento, atteggiamenti ostili, polarizzazioni di emozioni e sentimenti anti, prevalentemente, o pro qualcuno/qualcosa, in ultima analisi anche con l'intento di spostare consensi elettorali da una parte a un'altra.


Questa definizione - più ancora dell'altro termine gergale "bufale" - dovrebbe mettere in chiaro le conseguenze, anche penali, che menzogne e falsità, quando hanno valenza diffamatoria, cioè quasi sempre, possono produrre.


Improvvisamente, in realtà, è un termine improprio. Sono almeno due anni che leggiamo con preoccupazione questo genere di notizie, questa per esempio è del 22 marzo 2014.  

Walter Quattrociocchi, Gianni Riotta
Tra le notizie recenti che, magari, vi sono sfuggite potrebbe esserci la legge approvata dal Senato su proposta del senatore Cirenga: 134 miliardi di euro per trovare un posto di lavoro ai parlamentari non rieletti. http://www.lastampa.it/2014/03/22/esteri/le-bufale-e-lera-della-grande-credulit-Fpyqsl4f0fEJyBGxr9AuMN/pagina.html

Sono almeno due anni che ci si occupa - in base ai propri diversi ambiti e profili professionali e alla sviluppata sensibilità al problema - di fake news: giornalisti d'inchiesta come Jacopo Iacoboni, che su "la Stampa" sta raccogliendo da tempo dati (e relativi insulti) sul ruolo degli hacker russi e sulla relazione con movimenti italiani, o Federica Angeli, che su "la Repubblica" sta conducendo le sue inchieste su Ostia e periferie romane che sono costate minacce di morte a lei e ai suoi figli, minacce a causa delle quali è sotto scorta (e per questo ulteriormente vittima di attacchi fake); un debunker come David Puente, che ha portato alla luce molti legami oscuri nel mondo politico (i codici Google Adsense identici utilizzati da siti afferenti al movimento salviniano e pro MoVimento 5 stelle), riprendendo testate importanti come il Nyt; ricercatori come Walter Quattrociocchi, che è stato recentemente chiamato da Ca' Foscari, l'Università di Venezia, a dirigere il Laboratory of Data Science and Complexity; o, infine, come chi scrive, che coordina il gruppo di Analisi del Comportamento e Behavioral Economics presso l'Università Iulm e presso Iescum - Istituto Europeo per lo Studio del Comportamento Umano.


In queste ultime settimane, si sono aggiunti tre fattori rilevanti. La dura presa di posizione politica del segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, in chiusura della ottava edizione della Leopolda, che ha suscitato molte reazioni; qualche giorno prima era stato reso noto un rapporto dell'Atlantic Council, think tank statunitense, titolato "The Kremlin's Trojan Horses: Russian influence in Southern Europe", che analizza il ruolo di hackers supposti vicini al, o direttamente guidati dal, Cremlino nel tentativo di destabilizzare i paesi dell'area mediterranea; infine, le recentissime dichiarazioni di Joe Biden, Vice Presidente durante l'amministrazione Obama, in un articolo sulla rivista "Foreign Affairs" sulle azioni russe di sabotaggio per influenzare verso il NO il referendum costituzionale italiano dello scorso 4 dicembre e sui contatti sotterranei di M5s e Lega con agenzie governative russe.


Le reazioni sono state varie, ma possono essere ricondotte a due tipologie. Da una parte, c'è forte preoccupazione, visto quanto successo durante le elezioni presidenziali degli Stati Uniti, nel referendum Leave or stay in Inghilterra, in Spagna per l'indipendenza Catalana, e quanto sta emergendo in Italia sull'ultimo referendum. Dall'altra, ci sono tentativi, più o meno credibili, di sdrammatizzazione. Appartengono a quest'ultima tipologia per esempio l'articolo di Pier Luigi Battista, sul "Corriere della Sera" del 20 novembre, e le dichiarazioni del Presidente della Commissione di Vigilanza Rai, Roberto Fico, in un'intervista alla Stampa del 29 novembre scorso.

L'argomentazione che tende alla sdrammatizzazione sarebbe questa: niente di nuovo, le grandi potenze hanno sempre fatto "disinformazia", fa parte dello spionaggio, anche ai tempi della Roma imperiale si diffondevano notizie false e via di questo passo.Non mi iscrivo a questa scuola di pensiero, e - quindi - senza inutili isterismi, ma sulla base delle evidenze scientifiche, credo si debba esser preoccupati, e, alla luce dei motivi che vado a discutere, non minimizzare il fenomeno.

È vero, le fake news ci sono sempre state, anche ai tempi dell'antica Roma si diffondevano notizie false per screditare la parte avversa, basti pensare alla vicenda Cicerone-Catilina. Succedeva anche prima, nella democratica Grecia, e probabilmente prima ancora, se vogliamo ricomprendere fra le menzogne l'inganno acheo del Cavallo di Troia. C'è una falsità storica che riguarda da vicino il nostro paese, quella relativa alla Donazione di Costantino, un documento apocrifo (poi datato VIII o IX secolo) in base al quale la Chiesa giustificava la propria aspirazione al potere temporale: secondo questo documento, infatti, sarebbe stato lo stesso imperatore Costantino, trasferendo la sede dell'impero a Costantinopoli, a lasciare alla Chiesa il restante territorio dell'Impero Romano. Lorenzo Valla (1405-1457), umanista, può essere considerato il primo debunker, in quanto dimostrò la falsità di quel documento con argomentazioni storiche e filologiche, nel suo "De falso credita et ementita Constantini donatione".

So what? Vogliamo paragonare la velocità di diffusione dell'effetto calunnioso in un quartiere di Atene o Roma, con la velocità di Internet! Davvero, come dice David Puente, "affermare che il problema della disinformazione non esistasignifica non capire il nostro tempo", che continua, "Oppure essere parte del problema". Popolarmente si dice "fare il pesce in barile".Quindi, si tratta di analizzare approfonditamente il fenomeno se vogliamo capirne i meccanismi, per poi ipotizzare azioni di contrasto che non siano peggiori del male e i cui effetti siano valutabili scientificamente.

La tecnologia gioca di sicuro una parte importante. I social network ai tempi di Atene e Roma erano l'agorà o il foro, ora sono una ragnatela che connette e copre il mondo intero. Perfino la locuzione "diffusione virale" ormai è una metafora obsoleta, dato che le epidemie si diffondono più lentamente delle falsità. Non c'è neanche bisogno che un umano si metta materialmente a digitarle le menzogne, ci pensano i programmi automatici, i bot, che in pochi secondi inondano il mondo della stessa falsità. Ci sono evidenze chiarissime e inoppugnabili.

Infine, non dimentichiamo la delicatissima questione dei big data, l'oro informatico del terzo millennio. Ciascuno di noi lascia innumerevoli tracce di sé, dei propri movimenti, delle proprie preferenze, dei propri acquisti, delle proprie opinioni in campo politico e sociale. Sapere è potere. Bisogna ricordare, senza cadere in paranoia, che tutte queste tracce sono preziose e sono utilizzate, per diversi scopi, leciti e meno leciti.

Se entriamo più a fondo nel campo scientifico, ci sono alcune osservazioni da fare. Noi, organismi homo sapiens, abbiamo sviluppato una conoscenza e una tecnologia che, grazie al metodo scientifico, non ha paragoni in altri periodi storici, pur facendo le dovute comparazioni. Tuttavia, l'homo sapiens non è biologicamente molto diverso da quello di centomila anni fa. Le strutture fisiche, comprese quelle neuronali, sono sostanzialmente le stesse e svolgono la stessa funzione, aumentare la probabilità di sopravvivenza, anche se le condizioni ambientali sono cambiate.

Un esempio è la paura. I meccanismi della reazione di paura sono gli stessi di centomila anni fa, anche se gli oggetti della paura sono cambiati: ci immobilizziamo, scappiamo o lottiamo, sia che l'oggetto della paura sia una bestia feroce, un terrorista, parlare in pubblico e addirittura uscire di casa per andare in ufficio. Nelle situazioni di paura, il pensiero complesso si blocca, l'attenzione si restringe, non ci si pone domande, non si esplorano alternative. Non c'è tempo per pensare, bisogna solo muoversi: aggredire o fuggire. La prima reazione è simile a quella dei "leoni della tastiera", o "tigri della tuittesia", come li ho definiti una volta con linguaggio salgariano, la seconda è tipica di chi soffre di disturbo di panico o ansia sociale.

Per capire questa reazione, bisogna sapere che il nostro cervello non distingue tra minacce reali e minacce solo immaginate. Questa "confusione" è una caratteristica esclusiva dell'homo sapiens, che implica il ruolo di pensiero e linguaggio, strumenti potentissimi dell'evoluzione umana, che purtroppo portano a reazioni di stress diverse da quelle di altri animali: le zebre, che per sopravvivere devono correre più svelte della leonessa affamata, non vanno a dormire dicendosi "accidenti, anche domani dovrò correre", non perdono la fame o il sonno pensando a come sfuggire al leone, non si svegliano nel cuore della notte col pensiero didover cominciare a correre per sfuggire al leone, come spiega Robert M. Sapolsky, nel suo "Perché alle zebre non viene l'ulcera" (Libri in Tasca, 2011). Corrono e basta, sono fatte per quello. Gli uomini, invece, si fanno venire l'ulcera.

Gli uomini si fanno agganciare da pensieri ed emozioni, che, tecnicamente, nella terapia cognitivo comportamentale di terza generazione, sono chiamati "ami". La maggior parte delle fake news ingloba contenuti che hanno la funzione di ami, contenuti che svolgono molto bene questa funzione provocando le reazioni di paura e aggressività non solo dei tastieristi - che sono pur sempre una minoranza della popolazione - ma di interi gruppi sociali.

Questo meccanismo è stato messo in evidenza negli ultimi trent'anni dalla psicologia del comportamento e da una sua branca, la Behavioral Economics, una disciplina che ha avuto il riconoscimento di ben due Premi Nobel: Daniel Kahneman, nel 2002, e Richard Thaler nel 2017.

Daniel Kahneman per primo ha analizzato a fondo il ruolo di alcune abilità acquisite dal cervello nel corso dell'evoluzione, ovvero le euristiche. Le euristiche sono state utili per la sopravvivenza dell'uomo, permettendogli - in ambienti pericolosi - decisioni rapide, efficaci e conservative. Sono ancora utili, in quanto alleggeriscono la "fatica" del pensiero, nelle attività meno importanti e quotidiane: con il nostro corredo di euristiche, risparmiamo tempo e fatica nel prendere decisioni semplici o nel crearci un'opinione immediata delle situazioni nelle quali ci troviamo. Il lato nero delle euristiche è che ci rendono facile preda degli ami, cioè ci fanno reagire in modo rapido e automatico nel momenti in cui, invece, servirebbe un pensiero razionale, e producono distorsioni del giudizio ed errori decisionali sistematici, noti come bias.

Kahneman descrive due sistemi cognitivi, il sistema 1, produttore del pensiero veloce, e il sistema 2,produttore del pensiero lento. Sono metafore del funzionamento della nostra mente, non localizzazioni cerebrali. Il pensiero del primo sistema è inconsapevole, intuitivo, istantaneo, emozionale, sintetico, automatico, poco faticoso. Il pensiero del secondo sistema è consapevole, analitico, deduttivo. Chiede concentrazione e fatica, ed è sensibile alla cultura, si potenzia con essa.

Per evitare di farsi agganciare dagli ami bisognerebbe usare - in scelte come, per esempio, quelle di voto - il pensiero lento, quello sensibile alla cultura. Così non è per un gran numero di persone.

Quanto detto finora ha una valenza generale, per tutti gli esseri umani. Nel nostro paese, purtroppo, ha un'aggravante. È un tema che altre volte ho sottolineato: deteniamo il record mondiale, già di per sé poco invidiabile, di numero di auto e di cellulari/smartphone pro capite, e deteniamo anche un record, ancor meno invidiabile, che ci vede a fondo scala in Europa, quello di un infimo numero di libri e giornali letti. Nel 2016, dati Istat, sono state circa 33 milioni le persone con più di 6 anni che non hanno letto nemmeno un libro di carta in un anno, cioè il 57,6% della popolazione. Secondo l'Audipress, sono 18,5 milioni i lettori di quotidiani cartacei e online. Sono dati scoraggianti, tra i peggiori dell'Unione Europea. Se a questi numeri aggiungiamo la percentuale di analfabetismo funzionale, o di ritorno, che si aggira attorno al 45-50%, possiamo ben capire che c'è una massa di persone che è pronta ad abboccare a qualunque amo. Rimanendo in metafora, non serve neanche innescare gli ami, abboccano da soli.

Gianni Riotta - uno dei primi a occuparsi di fake news, già nel 2010, in un'inchiesta intitolata "Il lato oscuro della rete", pubblicato su Il Sole 24 ore, come ricordato pochi giorni orsono su "Democratica" - mette provocatoriamente in relazione questi dati sulla scarsa cultura degli italiani con le loro scelte politiche. Una tesi che, alla luce delle evidenze della scienza del comportamento, mi vede molto d'accordo: si comincia come "creduloni", poi - per effetto della polarizzazione e grazie alle camere ecoiche (echo chambers) - si diventa "credenti". I credenti, per definizione credono, indipendentemente dalle evidenze, o dalla mancanza di evidenze, che vengono liquidate con teorie post hoc e ad hoc: le pseudo-spiegazioni complottistiche.

Pertanto, che fare? La cultura non è l'antidoto alla proliferazione di fake news, non è un antibiotico specifico, però aiuta, potenziando il sistema immunitario culturale. Peraltro, non ha effetti collaterali negativi - anzi! - sulla società. La censura non solo non serve, ma sarebbe una soluzione peggiore del male, poiché ucciderebbe la democrazia della rete senza guarirne la malattia.

Altro è il concetto di responsabilità, a tutti i livelli, sia di chi fabbrica sia di chi diffonde falsità, menzogne, calunnie e diffamazioni. Si tratta di fare un salto di paradigma in questo campo, una sorta di responsabilità legale 2.0.

Inoltre, non bisogna dimenticare che i siti di fake news, oltre che di attenzione, sono anche dei generatori di guadagno, come dimostrano alcuni famosi siti nostrani: le conseguenze rinforzanti mantengono a lungo i comportamenti.

Dobbiamo puntare sull'educazione e sulle generazioni future, facendo tesoro dei molti errori fatti finora. Non è semplice, è costoso, richiede tanto tempo e competenze specifiche - in un'epoca in cui la competenza viene irrisa e calpestata - ma è l'unica strada. Ed è percorribile. 


CI HO SCIRTTO SOPRA UN LIBRO ANCH'IO...
LA VERITA', COS'E' LA VERITA'
 

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Il potere della (Dis)informazione nell’era della grande credulità

Ricerca: in Rete sempre più difficile distinguere tra notizie reali e menzogne
La pagina Facebook dell’inesistente senatore Cirenga

Pubblicato il 22/03/2014
Ultima modifica il 22/03/2014 alle ore 15:24
Tra le notizie recenti che, magari, vi sono sfuggite potrebbe esserci la legge approvata dal Senato su proposta del senatore Cirenga: 134 miliardi di euro per trovare un posto di lavoro ai parlamentari non rieletti. La Camera Alta della Repubblica ha stanziato la cifra con 257 voti a favore e 165 astensioni. Come capirete, in questa stagione di corruzione politica e sdegno popolare contro i privilegi della «casta» l’improvvida iniziativa del senatore Cirenga ha sollevato online, nel cosiddetto «popolo del web», un’ondata di proteste. In oltre 36 mila condividono l’appello per denunciare Cirenga, la sua pagina Facebook, con tanto di foto, è consultata con irritazione, peccato però che non ci si accorga - Google sta lì per questo - che nessun senatore si chiama Cirenga, che il sito del Senato non reca notizia della legge, che la somma dei voti è 422, mentre i senatori son 315 (più i senatori a vita). 134 miliardi di euro sono un decimo circa del Prodotto interno italiano, cassaforte eccessiva perfino per l’ingordigia dominante.  

  Perché in tanti abboccano a una notizia palesemente falsa, «una bufala» in gergo, come mai la Rete diffonde e discute sui siti un’ovvia finzione, come si informano online gli utenti e come distinguono tra testate con un controllo professionale dei testi e homepage dove invece ciascuno posta quel che gli aggrada senza controlli? 
Secondo una ricerca 2014 del World Economic Forum, curata dalla professoressa Farida Vis dell’Università di Sheffield, tra i dieci pericoli maggiori del nostro tempo c’è «la diffusione di false notizie», capaci di disorientare il dibattito politico dai temi reali, la Borsa e i mercati dall’economia concreta e sviare l’opinione pubblica su miti come l’Aids non legato all’Hiv, i vaccini che diffondono autismo, le scie chimiche degli aerei seminatrici di morte. Come dunque individuare le fonti inquinate dell’informazione e chi sono i cittadini più esposti alle fole? 
Se lo chiede un team di studiosi della Northeastern University di Boston, dell’Università di Lione e del Laboratory of Computational Social Science (CSSLab) del Centro Alti Studi Imt di Lucca (Delia Mocanu, Luca Rossi, Qian Zhang, Màrton Karsai, Walter Quattrociocchi) in una ricerca dal titolo rivelatore: «Collective Attention in the Age of (Mis)information», l’attenzione collettiva nell’età della (dis)informazione (http://goo.gl/6TxVfz).  

Dai risultati, purtroppo, si evince che l’attenzione pubblica è scarsa e la disinformazione potente al punto che spesso è considerata dai cittadini pari all’informazione classica. Per molti utenti della Rete il tempo dedicato ai miti e quello speso analizzando i fatti si equivalgono. Chi comincia a bazzicare siti dove complotti, false notizie e deformazioni vengono creati in serie, rapidamente si assuefà e perde senso critico. Lo studio conferma una delle caratteristiche più infide del nostro tempo online: su testate satiriche o forum aperti, i «trolls», utenti anonimi che diffondono battutacce, menzogne, grossolane e comiche esagerazioni, vengono spesso equivocati per fonti autorevoli e il loro teatrino scambiato per realtà.  

Un esempio recente, quando la voce dell’enciclopedia Wikipedia relativa al filosofo Manlio Sgalambro è ritoccata nelle ore della sua morte, rendendo l’austero studioso «autore di “Madama Doré” e “Fra Martino Campanaro”». All’assurda «trollata» credono persone comuni e autorevoli testate. 
Lo studio ha seguito oltre 2.300.000 persone su social media come Facebook durante la campagna elettorale politica italiana del 2013 e i risultati negano la tesi popolare dell’«intelligenza collettiva» che animerebbe la Rete, provando invece l’esistenza di un iceberg grigio di «credulità collettiva». I seguaci delle «teorie del complotto» credono che il mondo sia controllato da persone, o organizzazioni, onnipotenti, e interpretano ogni smentita alle proprie opinioni come una manovra occulta degli avversari.  

La ricerca prova come la dinamica sociale di Facebook, mischiando in modo apparentemente neutrale vero e falso, finisca per affermare le menzogne sulle verità. Gli attivisti online via Facebook evitano di confrontarsi con fonti che contraddicono le loro versioni, persuasi che spargano falsità per interessi spregevoli. Il dibattito langue, le versioni diverse non trovano una sintesi, i «trolls» spacciano sarcasmi per notizie. 
Preoccupazione suscita la par condicio online tra fonti prive di autenticità e siti professionali, chi cerca informazioni finisce per dedicare la stessa attenzione a bufale tipo «Senatore Cirenga» e alla vera riforma del Senato, spesa pubblica, governo.  

«Ex falso sequitur quodlibet» è massima della logica tradizionale, attribuita spesso al filosofo Duns Scoto, ma in realtà di autore ignoto: da premesse fasulle potete far derivare sia proposizioni «vere» che «false», con la terribile conseguenza di non potere distinguere bugie e realtà. Il web, dimostra la ricerca sulla (Dis)informazione, può trasformarsi in guazzabuglio «Quodlibet» alla Cirenga. E un cittadino, quando si avvia per la strada dei miti online, tende a perdersi nel labirinto delle bugie: chi è disposto a comprare la bubbola dell’Aids che non deriva dal virus Hiv, deduce poi che l’Aids è stato creato dal governo americano per decimare gli afro-americani, e così via via per l’11 settembre, il Club Bilderberg che controlla l’economia mondiale, le scie chimiche: date uno sguardo al web, edicole e talk show...
Twitter @riotta

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