lunedì 23 giugno 2014

SESTO POTERE

Ho trovato on line questa pagina
è inerente gli argomenti che stiamo trattando
per questa ragione ve la pubblico qui.
Buona lettura

Aldo Vincent
I miei libri li trovate su Amazon.it




Sesto potere

di
Alessandro Gilioli
Dopo il caso Grillo, internet sotto accusa: è davvero un luogo di confronto democratico o può diventare un ''grande fratello'', più persuasivo, populista e pericoloso della televisione?Quando Hillary Clinton si è presentata alle presidenziali americane lo ha fatto con un messaggio in Internet. Un filmato brevissimo, otto secondi. Molto leggero, per non escludere chi non aveva la banda larga o era in Rete col telefonino. Che cos'ha detto Hillary? Niente o quasi: sono qui, mi candido, converseremo, arrivederci. Una performance salutata dai più con entusiasmo (wow, siamo nell'era delle Web-primarie!) ma che forse nascondeva l'essenza profonda della comunicazione politica in Rete: ultralight, brevissima, priva di contenuti, degradata a minispot. L'ipotesi che il videoclip della Clinton rappresenti la più evidente metafora dei rischi di Internet viene avanzata da un docente di marketing come Paolo Landi, che a metà ottobre uscirà con il primo libro 'Contro il Web' scritto finora in Italia: 'Impigliati nella Rete', edito da Marsilio. Un saggio, ovviamente, pensato prima che Beppe Grillo riempisse le piazze con i suoi 300 mila usciti dal mondo virtuale per incarnarsi in lunghe fila davanti ai banchetti. Ma è proprio il fenomeno Grillo a far esplodere la questione in tutta la sua attualità: e se Internet, per caso, fosse 'peggio' della televisione, in termini di persuasione occulta e manipolazione dei cervelli?E se il mezzo 'democratico' per eccellenza, quello con cui chiunque può partecipare e far sentire la sua voce al mondo a costo zero, fosse invece un medium che esalta infinitamente il carisma e semplifica a dismisura il messaggio? Ancora: e se per ottenere consenso attraverso la Rete - scatenando il famoso tam tam che consente di diventare popolari on line - fosse indispensabile un'esaltazione dei toni, un impoverimento del linguaggio e un azzeramento della riflessione? Insomma: e se Internet rischiasse in qualche caso di trasformarsi in una specie di 'Sesto potere', ancora più potente del Quarto di Orson Welles e del Quinto di Sidney Lumet?


Ovviamente nel successo di Grillo agli elementi mediatici si mescolano robuste questioni di contenuto, come l'avversione diffusa per una classe di politici che ne ha combinate un po' troppe. Ma
è attraverso il Web che Grillo è uscito dal cono d'ombra mediatico a cui l'aveva costretto il lungo esilio televisivo, ed è usando la grammatica di Internet che il comico genovese ha diffuso il suo messaggio, ottenendo i risultati che si sono visti. E allora la domanda resta: com'è fatta questa grammatica? Porta al confronto orizzontale e alla vera partecipazione dei cittadini dal basso o - al contrario - a un'illusione di coinvolgimento che nasconde dinamiche in cui la qualità dei messaggi è secondaria rispetto alla capacità di utilizzare il mezzo?

"La Rete è il modello di comunicazione ideale per una generazione che ha tempi di consumo rapidi e non gradisce altre forme espressive in cui i contenuti non siano sintetici e sincopati", accusa Landi. Il cui riferimento è, evidentemente, al fatto che il linguaggio con cui si comunica sul Web (dagli Instant messages agli stessi blog, fino ai videoclip) ha come caratteristica fondante l'estrema brevità. I famosi tre minuti oltre i quali si cambia canale in tivù, sono diventati quattro righe di 'post' o cinque secondi di videoclip oltre i quali si cambia sito. Con la conseguenza che la Rete rischia di premiare i messaggi meno articolati. Oltre che, naturalmente, i più 'divertenti':
al Web ci si avvicina come mezzo più di entertainment che di informazione, quindi non è strano che ad aver successo sia un comico, proprio come su YouTube i video più popolari sono quelli che fanno ridere. Ma è sul mix di assertività e rozzezza che insiste Landi: "Come Hillary, costretta a usare nel suo messaggio in Rete un linguaggio a prova d'idiota, anche Beppe Grillo ricorre a concetti molto basici per farsi capire dal popolo dei blog. A molti può sembrare una grande novità in politica usare la parola 'Vaffanculo', ma è la parola magica che tutti capiscono in un universo come la Rete che ha tempi di consumo rapidissimi. Che non azzerano la distanza tra politico e cittadino ma semmai azzerano la comunicazione di idee".

Un parere isolato? Neanche tanto. Uno dei maggiori filosofi del Web ,
David Weinberger (coautore del 'Cluetrain Manifesto') spiega a 'L'espresso' che "Internet per sua natura è un medium che permette l'espressione di posizioni populiste", anche se, aggiunge, "questo non è necessariamente un male, perché rafforza il legame diretto tra la politica e la gente". Dice Weinberger: "Quello che è interessante dell'iniziativa di Grillo è che per la prima volta nella storia di Internet una e-campaign ha avuto un impatto reale: Grillo è riuscito a far smuovere la gente, a farla convenire in un luogo fisico reale. Da questo punto di vista dunque segna l'inizio di una nuova era, visto che finora nessuna campagna via Web aveva ottenuto questo risultato in nessun luogo del mondo".

Perché questo sia accaduto proprio in Italia, ovviamente, è motivo di ulteriore riflessione: può avere a che fare, ad esempio, con la ricorrente tendenza nostrana ad affidarsi all'Uomo forte - è la tesi di Eugenio Scalfari e di altri - o forse con il degrado della politica che ha fatto da detonatore. Ma quale che sia il motivo, il rischio che la Rete si trasformi in un Sesto potere viene segnalato con forza da un esperto italiano di lungo corso come
Vittorio Zambardino, che dal suo sito ZetaVu ha lanciato per primo il sasso nella blogosfera: "Pensavamo che Internet fosse un mezzo ugualitario, sereno e dai dialoghi ragionati: invece il caso Grillo mostra che la potenza della tecnologia funziona al servizio di un disegno carismatico, semplificatorio e sommario", dice Zambardino. E aggiunge: "Grillo ci ha mostrato che il furore sta alla comunicazione via Internet come l'ossigeno all'aria: la compone, le dà significato e senza quella non esisterebbe nemmeno".

Un atto di accusa in contromano rispetto all'opinione fino a ieri più diffusa (la Rete come mezzo orizzontale e pluralista, che fa crescere la coscienza sociale). Secondo
Antonio Sofi - docente di Sociologia della comunicazione a Firenze, blogger autorevole (su Webgol.it) e organizzatore di campagne elettorali on line in Italia e negli Usa - la provocazione di Landi e Zambardino è benvenuta ma va valutata all'interno di un contesto più complesso: "Si può usare Internet in mille modi diversi e con mille finalità, quindi può ben essere un luogo carismatico di semplificazione e di aggressione", dice Sofi: "Vale l'esempio del classico coltello che può essere usato per tagliare il pane o per offendere. Non esiste una sola Internet, ma tante Internet quante sono le persone che la usano. Ecco perché le semplificazioni e le aggressioni e le derive populistiche e i culti della personalità non possono inibire il funzionamento della Rete nel suo complesso".

Aggiunge
Kevin Kelly, fondatore della rivista 'Wired' e autori di diversi libri sulla Rete: "Io non credo che il Web sia un pericoloso Sesto potere, ma porre la questione ha un senso perché almeno si mette in discussione l'idea opposta - molto diffusa e secondo me illusoria - che la democrazia possa essere allargata e ampliata dal Web. Invece i politici e i network usano la Rete come un loro strumento, un altro megafono per dare voce ai loro interessi, come fanno con gli altri media. Un demagogo o un capopolo può usare Internet come usa la tv o i giornali. Meglio capirlo in tempo".

Insomma, la Rete non sarebbe né meglio né peggio dei media tradizionali: avrebbe le stesse opportunità e gli stessi pericoli. Un'opinione condivisa da uno studioso di Web come
Giuseppe Granieri, autore di 'Blog generation' (Laterza): "Grillo conosce lo strumento del Web e sa come usarlo", dice Granieri: "Sa come innescare i processi di passaparola e sa che deve confezionare un messaggio semplice, comprensibile da tutti e condivisibile da tutti: il che per definizione espone il messaggio al rischio del populismo. Quindi fa un buon uso strumentale della Rete. Ma il suo linguaggio non è specificamente internettiano: usa tutti i media che ha a disposizione, da sempre. Si è accreditato grazie ai trascorsi televisivi, usa spettacoli e Dvd e risonanza sui media tradizionali per mantenere visibilità e accreditamento. Poi usa Internet con i meetup e il blog. Che però senza tutto il resto sarebbero poca cosa". ConcordaDan Gillmore, columnist tecnologico della Silicon Valley e autore di 'We the media', uno dei libri chiave sul rapporto tra Web e informazione tradizionale: "Che la Rete possa diventare un media che fomenta sommosse o che legittima il qualunquismo mi pare discutibile. Però può essere molto efficace nello scatenare e organizzare fenomeni di fanatismo religioso e politico. Chi opera nella comunicazione su questo dovrebbe fare una riflessione".

E lui, Beppe Grillo, il cui successo 'newmediatico' ha scatenato il dibattito in Italia e all'estero, che ne dice? Molto semplicemente, esalta Internet come unico strumento d'informazione del futuro ("Voi giornalisti siete tutti morti!") e progetta di concentrare le sue future battaglie proprio sul terreno dei mass media: "Il prossimo V-day sarà contro la tv e i giornali", dice: nel tentativo (finora riuscito) di contrapporre il binomio 'casta politica-mass media tradizionali' all'accoppiata uguale e contraria 'Antipolitica-Internet'. Secondo Grillo, "in Rete se racconti delle balle dopo 24 ore ti arrivano duemila commenti che ti dicono che sei un cialtrone, quindi non puoi mentire, e questa è la democrazia. Se invece parli attraverso la tv o attraverso i giornali non c'è contraddittorio. Sul Web ce l'hai".

Un ragionamento molto lineare, fondato però sulla convinzione che i commenti a un blog costituiscano la forma più avanzata di confronto e di discussione in Rete. Il che lascia assai perplessi tutti quelli che con il Web 2.0 hanno una certa dimestichezza e considerano invece i commenti un sistema molto rudimentale di interazione. Il più critico in merito è
Massimo Mantellini, esperto di Internet e titolare di Manteblog.it, uno dei più stimati e cliccati siti hi-tech italiani: "Beppe Grillo in realtà sfrutta la Rete disinteressandosi delle sue caratteristiche di 'nuovo media', vale a dire di strumento comunicativo bidirezionale. Al contrario, usa Internet come un media convenzionale", dice. "In alcuni casi la politica tende a usare Internet 'da uno a molti', magari con semplici video messi on line", continua Mantellini. "Questa 'youtubizzazione' sottrae i politici dalla mediazione giornalistica e quindi li libera da molti fastidi: si parla direttamente all'elettore aspettandosi che questi ascolti e basta. Tuttavia in Rete questi tentativi sono una goccia nel mare e sono destinati a fallire".

Concorda un altro noto blogger italiano,
Luca Sofri, autore di Wittgenstein.it: "In Rete Grillo emette ma non riceve", dice: cioè lascia liberi i commenti ma poi non interagisce né con i suoi lettori né con il resto della blogosfera."E poi che cosa c'entra il contraddittorio dei commenti con la democrazia?", continua Sofri: "La democrazia è rappresentatività. Se ci fosse il contraddittorio su ogni cosa, a Martin Luther King dopo 'I have a dream' lo dovevano interrompere per sentire anche i sogni di tutti gli altri". Sulla stessa linea Antonio Sofi: "Lasciare un microfono aperto non è automaticamente democrazia. Grillo ha scelto di disegnare la sua Internet come fosse un palcoscenico teatrale, in cui c'è chi si esibisce sopra il palco dei post e un pubblico che sta nella platea dei commenti a godersi lo spettacolo e a chiacchierare tra loro. Di qui una certa illusione di partecipazione e interazione. Ma i commenti alla fine tendono a perdersi nel rumore di fondo di mille altri commenti diventando di fatto applausi o fischi". Rincara Paolo Landi: "In questo momento all'ultimo post di Grillo ci sono 2.433 commenti che il mio pc fatica ad aprire. Ma chi li legge? E chi ha voglia di rispondere a 2.433 sconosciuti o anche a uno solo di essi? Più che un contraddittorio sembra uno sproloquio. Collettivo, ma pur sempre sproloquio".

Tanto più che i mitici commenti, spesso anonimi, finiscono spesso per ridursi a puri turpiloqui, il che rafforzerebbe le critiche di chi considera Internet uno strumento che esalta l'assertività più triviale a discapito dei ragionamenti. Nota Luca Sofri che "
la Rete ha investito moltissimo sulla libertà a scapito della costruzione di un codice di civiltà, rispetto e regole (che è stato spesso visto come possibile ostacolo alla libertà). Oggi le persone più esperte e sagge sull'uso della Rete riconoscono che non sempre quello che è privo di regole è apprezzabile: come fu negli anni Ottanta con i famosi microfoni aperti di Radio radicale. In generale, mi pare che si riesca a trovare un equilibrio: poi però arrivano il grande comico e l'esasperazione per questi politici, e questo equilibrio si perde".

Allora i commenti ai blog sono uno spazio di democrazia o ne rappresentano solo una parodia, un'agorà vociante di anonimi che cicaleggiano e s'insultano nel vuoto? Per chi studia il Web 2.0 la risposta è abbastanza ovvia perché le vere forme di confronto in Internet sono altre, costituite dai Social network e dal dibattito ragionato che si sviluppa ogni giorno tra migliaia di blog. Sintetizza
Sergio Maistrello, autore del libro 'La parte abitata della Rete': "Se Grillo volesse usare veramente il Web come strumento di democrazia, a questo punto direbbe: ehi ragazzi, andiamo forte, ma non statemi tutti qui tra le palle, che i vostri commenti nemmeno li leggo, non ho né il tempo né la voglia. Semmai moltiplichiamoci, apritevi un blog anche voi, colonizzate le vostre reti sociali. È facile, se ci riesco io ce la potete fare anche voi". E allora Internet non correrebbe più il rischio di diventare il Sesto potere.(ha collaborato Paolo Pontoniere)(27 settembre 2007)



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Iscritto dal: 29-04-2006
Messaggi: 129
i commenti al blog di grillo, così come i "dite la vostra" dei quotidiani on line sono esattamente come quei muri dove la gente accavallava le scrittte e cuoricini trafitti con le iniziali. nessuno legge le scritte degli altri, gli interessa solo scrivere la propria.

e in ciò emerge tutta la rozzezza internautica e politica di grillo: manovra una massa ed è convinto di fare qualcosa di completamente nuovo


non sono convinta del fatto che il confronto in rete si sviluppi dal fiorire di migliaia di blog, la maggior parte dei quali è frequentata dall'autore e da una ristretta cerchia di parenti e amici.

per il confronto (ma anche per le sintesi e le proposte, volendo) la cosa migliore è un forum tematico ben amministrato


DemocraticoConVeltroni
 


Iscritto dal: 01-10-2005
Località: DemocraticoConEmiliano
Messaggi: 1.251
Grillo è un grande comico. Da vero populista, vende demagogia e alla gente piace. 20 euro a testa per i suoi spettacoli non sono tanti, anche se, a testa, paghiamo decisamente meno l'abbonamento annuale per tenere comici come Calderoli in parlamento. Grandissima pensata poi quella di concedere, come nel franchising, il suo brand in uso alle liste civiche (per la serie "fammi pubblicità gratis"). è puro Bu$ine$$ il suo. i Grillini non chiamateli "seguaci": sono semplici clienti.


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Iscritto dal: 29-04-2006
Messaggi: 129
Cita:
Scritto in origine da ziobob
Scusa la franchezza, ma tutta la gente che si è riversata per strada a firmare le 3 proposte di legge, come la chiami?



I commenti non sono proprio idioti e la cosa strana li leggono in molti
1. la chiamo una massa, una massa che segue un capo, nè più nè meno di una massa di iscritti/simpatizzanti di un partito che vanno al comizio del segretario e firmano una proposta appoggiata o promossa dal partito.

la differenza di mezzo (partito organizzato-blog organizzato) è poco importante.

un militante di partito va a dire la sua in sezione davanti a x compagni di partito.
uno che lascia un commento sul blog di grillo viene letto da quei pochi che hanno scritto subito prima o subito dopo di lui.

nessuno legge 2000 commenti a un post, e
giustamente perchè non serve a un tubo. io l'ho fatto alcune volte, a suo tempo, e ne ricavai una sensazione fisicamente sgradevole, tipo mal di mare, e una delusione intellettuale molto netta.

il dibattito è fatto di dialogo, non di una serie di monologhi.
ma grillo non risponde, non dibatte. per dirla in modo franco e brutale: non caga il mondo.

è la
struttura stessa del blog che lui ha scelto a impedirlo.

in effetti sto ripetendo quel che c'era nell'articolo iniziale: grillo conciona da un palco e al suo pubblico lascia uno spazietto per commentare lo spettacolo col vicino o con se stesso.

l'articolo era molto chiaro, e mi stupisce che siano proprio dei forumisti a non vedere la bufala della nuova democrazia di internet secondo grillo


Archdemon
 


Iscritto dal: 05-07-2006
Località: Se il mondo non ti piace, comincia a cambiare la persona nello specchio
Messaggi: 1.709
Cita:
Scritto in origine da Zdenek
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Sono considerazioni interessanti, condivisibili almeno in parte. Non condivido pero' la perentoria e facile conclusione che "la Rete non sarebbe né meglio né peggio dei media tradizionali: avrebbe le stesse opportunità e gli stessi pericoli", che tra l'altro sembra quasi suggerire di lasciar perdere la rete, tanto vale continuare a guardare la tv che e' uguale.

Non e' vero. Ciascuno creda pura che sia meglio, peggio, o nessuno dei due, ma certamente non sono due media uguali, sono invece diversissimi. Personalmente credo che la rete abbia cambiato la nostra vita quotidiana 1000 volte di piu' che non l'arrivo dei PC dieci-quindici anni prima, per esempio.

Non e' tutto rose e fiori, ci sono molte ambiguita' e "pericoli" (tra virgolette). I forum ne sono un esempio: alle volte qui ci scanniamo metaforicamente nelle discussioni politiche, ma quanti di noi si comportano nello stesso modo aggressivo quando parlano di persona col vicino di casa o con il collega d'ufficio? Quanti usano quotidianamente il linguaggio e i toni con qui riempiono i loro post? Secondo me quasi nessuno. Forse questo da un lato e' un'opportunita' (quella di sfogarsi senza avere paura), ma dall'altro e' un rischio (quello di abituarsi a sfogarsi senza prima pensare a rispettare l'interlocutore).



Tempo fa, sempre in un thread relativo a Grillo, provai a far notare come su internet si trovino soprattutto le informazioni su cui si imposta una ricerca.
Google è nato proprio in questo modo: ciò che interessa la maggior parte delle persone ti viene proposto per prima.
Un "inquinamento" del mezzo di comunicazione in questo modo diventa facilissimo.
Argomenti di "nicchia", trattati o conosciuti da pochissimi difficilmente hanno possibilità di fare il giro del mondo.
Nascono, così, aree riservate e/o private dove si incontra gente che già si conosce nella vita reale.

E' vero che Grillo non interagisce con quanti visitano il suo blog.
I commenti strutturati in quel modo in uno spazio virtuale così popolato non hanno alcun senso, né tantomeno sono democratici.

Avrebbe dovuto organizzare un forum come questo con un numero di moderatori adeguato.

Non credo gli convenga, però: sarebbe equivalente ad una discesa reale in Politica.

Iscritto

Iscritto dal: 05-02-2007
Messaggi: 588
La rivoluzione non russa: questo è solo l'inizio...
Questa notte ho rivisto il film di Woodstock, ebbene cari bamboccioni (d'ora in poi scusate ma vi chiamerò così...) stavolta la rivoluzione sarà attuata attraverso internet e non a colpi di canne, chitarre e minigonne...

L'unica cosa che possono fare i nostri governanti è limitare la libertà degl'internauti, per esempio chiudendo sito di Grillo o metterlo in galera per offesa allo stato sovrano.
Per il resto rassegnatevi perchè che vi piaccia o no internet è il futuro e i potenti dovranno abituarsi a perdere il controllo sulle masse giorno dopo giorno...



Il 'fenomeno' Beppe Grillo e il lato oscuro della Rete - Prima parte

Prima parte a cura di Utopico per Cani Sciolti

La rete è il nuovo 'Eldorado' per i politici e 'movimentisti' italiani. Il 'fenomeno' Beppe Grillo, il V-Day sono solo l'ultimo esempio di come Internet stia diventando terra di conquista e di manipolazione dell'opinione pubblica o di costruzione del consenso. Spulciando il web e motori di ricerca si trovano informazioni interessanti che aiutano a capire qualcosa di più di quella che sembra essere, all'apparenza, una 'rivoluzione dal basso' difficilmente catalogabile o, per lo meno, poco comprensibile a chi non ha conoscenza ed esperienza della rete, dei suoi meccanismi, del potenziale distruttivo o costruttivo di cui è dotata.

Il blog di Beppe Grillo è diventato, in poco tempo, uno dei siti più frequentati della rete a livello mondiale. Solo merito del comico genovese o dietro questo 'successo' c'è una ben precisa strategia (di marketing web) pensata e gestita da chi, della rete, è attore, protagonista e mentore?

C'è un altro blog italiano, quello di Antonio Di Pietro, che ha molte similitudini con quello di Beppe Grillo e, come faceva notare Massimo Mantellini qualche tempo fa. Se proviamo a ricercare i ' gestori' dei due siti in questione ( quello di Grillo e quello di Di Pietro) salta fuori la Casaleggio Associati (guardate in fondo alla home page del blog di Grillo nei Credits).

Chi è la Casaleggio Associati?

La società, come si legge sul loro sito, : "nasce nel 2004 a Milano per volontà di cinque persone interessate alla Rete ed alla sua evoluzione."

Fin qui tutto normale... Ma è l'obiettivo che chiarisce la natura della Casaleggio Associati:

"L'obiettivo della società è di sviluppare in Italia una cultura della Rete attraverso studi originali, consulenza strategica, articoli, libri, newsletter, seminari e con la creazione di gruppi di pensiero e di orientamento."

Bingo!, direbbero gli americani. E infatti è proprio dagli americani che la Casaleggio Associati ha copiato molto e in particolare dalla Bivings group.

Il Marketing virale

La Bivings group è un'agenzia leader nel social network negli USA, nasce nel 1993 matura una esperienza decennale collaborando con corporation di massimo livello. Le multinazionali come la Monsanto, ad esempio, affidano i propri messaggi a società come la Bivings Group, che manipolano l’opinione pubblica grazie al «marketing virale», intrufolandosi nei forum di discussione su internet e diffondendo le opinioni delle multinazionali sotto le sembianze di «comuni cittadini». Le multinazionali hanno imparato che il modo migliore per affermare il proprio punto di vista è stare in disparte e lasciare che a sostenerlo siano dei comuni cittadini.

Non vi sembra che anche nel caso di Beppe Grillo e dei 'grillini' vi siano molte analogie?

Un articolo sul sito web della Bivings intitolato "Marketing virale: come infettare il mondo" avverte che "vi sono alcune campagne in cui sarebbe poco opportuno o persino disastroso lasciare che il pubblico sappia in cosa è direttamente coinvolta la vostra azienda...semplicemente non è una mossa intelligente nel campo delle pubbliche relazioni. In casi come questo è importante prima "ascoltare" quello che viene detto on-line... una volta che vi siete collegati in questo mondo, è possibile inserire su questi canali dei messaggi, che presentano il vostro punto di vita come quello di una disinteressata terza parte... Forse il più grande vantaggio del marketing virale è che il vostro messaggio è posto nel contesto in cui è più probabile che sia preso in seria considerazione." Sul sito della Bivings viene citato un dirigente della Monsanto che ringrazia l'azienda di pubbliche relazioni per il suo "straordinario lavoro".

"A volte", si vanta la Bivings, "vinciamo dei premi. A volte soltanto il nostro cliente conosce il ruolo preciso che noi abbiamo giocato. In altre parole, a volte la gente non ha la minima idea di essere manipolata da impostori."

Riprendiamo da un post su un Meetup:

"Se pensiamo alla struttura dei due siti ( quello di Grillo e quello della Bivings - ndr), che sono sostanzialmente identici, addirittura nella scelta dei colori, nella disposizione dei link, nella mappa e organizzazione del sito, che fra l'altro trattano la stessa materia, fanno gli stessi studi sull influenza di internet e sulle reti sociali on-line, con particolare interesse per le applicazioni in politica:

- studio sulla politica, Bivings group

- studio sulla politica, Casaleggio associati

Leggiamo quello della Casaleggio:

La vita dei siti dei partiti politici è scandita dalle scadenze elettorali. Gli indecisi prendono le proprie scelte nei 30 giorni precedenti le elezioni e tendono ad utilizzare tutti i media a loro disposizione per informarsi. [...] Riuscire ad influenzare il voto degli elettori è l'obiettivo primario in periodo di elezioni.

Abbiamo scaricato, dal sito della Casaleggio, questo report: " Novembre 2004 I partiti politici on line in Italia. Dati, interviste e trend della politica on line in Italia" dove leggiamo:

Gli obiettivi

- Convincere gli indecisi a votare il proprio partito.

- Comunicare senza intermediazioni ai cittadini.

- Ricevere finanziamenti direttamente, tramite iscrizioni al partito o acquisto di merchandising.

- Avvicinare le persone al partito, soprattutto i giovani ai quali piace poco frequentare le sezioni locali del partito.

- Mettere a disposizione tutti i materiali e le informazioni per le sedi locali.

- Promuovere le attività delle sezioni locali e dei loro candidati.

- Fare pressioni politiche con iniziative di coinvolgimento attivo del pubblico.

- Costruire programmi politici assieme agli elettori.

- Tenere il contatto con i simpatizzanti con newsletter.

In pratica è quello che sta accadendo con i Meetup di Grillo. Il blog di Beppe Grillo funziona da catalizzatore, promotore e da 'fornitore' di materiali, , i meetup sono le 'sezioni locali', il coinvolgimento attivo sono la raccolta di firme, non c'è intermediazione ma filo diretto di comunicazione attraverso il web.

I blog di Antonio Di Pietro, e di Beppe Grillo concepiti e gestiti dalla Casaleggio e Associati (gli stessi di Beppe Grillo) stanno realizzando un progetto e quelli della Casaleggio hanno capito che i messaggi semplici, diretti e con un tocco di populismo in rete funzionano sempre.

Massimo Mantellini citava un intervento sul blog di Tiziano Fogliata che si chiedeva il 18 Gennaio 2006:

Di cosa avranno mai parlato Antonio Di Pietro e Gianroberto Casaleggio? Alcune voci mi hanno riferito di averli visti pranzare insieme lunedì in un locale milanese. Ripeto la domanda: di cosa avranno mai parlato? Forse che il leader dell’Italia dei Valori vuole replicare il successo di Beppe Grillo scalando le classifiche di Technorati? Se questo è l’obiettivo la scelta naturale è rivolgersi appunto alle stesse persone che curano il blog di Beppe Grillo.

La strategia mediatica e le tecniche

Ricapitaliamo... Il 'fenomeno' Grillo non sembra essere così 'naif' ma un progetto di web-marketing e comunicazione studiato a tavolino e con ben definiti obiettivi e caratteristiche mutuate da esperienze già attive e realizzate. La rete diventa il mezzo di manipolazione dell'opinione pubblica e di cambiamento dei modi e del sistema di relazione e azione. Le tecniche usate e facilmente individuabili sono le stesse della pubblicità applicate a prodotti non materiali ma, come in questo caso, a opinioni e alla formazione di 'consumatori-utenti' di un progetto politico.

Leggiamo al definizione di 'marketing-virale' e avremo altre informazioni:

Il marketing virale è un tipo di marketing non convenzionale che sfrutta la capacità comunicativa di pochi soggetti interessati per trasmettere il messaggio ad un numero esponenziale di utenti finali. È un'evoluzione del passaparola, ma se ne distingue per il fatto di avere un'intenzione volontaria da parte dei promotori della campagna. Il principio del viral marketing si basa sull'originalità di un'idea: qualcosa che, a causa della sua natura o del suo contenuto, riesce a espandersi molto velocemente in una data popolazione. Come un virus, l'idea che può rivelarsi interessante per un utente, viene passata da questo ad altri contatti, da questi ad altri e così via. In questo modo si espande rapidamente, tramite il principio del "passaparola", la conoscenza dell'idea.

Un altro termine e metodo è il 'guerrilla advertising' dove si collaudano e si sfruttano tutti i nuovi percorsi della mente connettiva. La guerrilla non colpisce la massa ma il singolo, invertendo il meccanismo di generazione di notorietà. Gli attacchi di guerrilla infatti generano spiazzamento, lo spiazzamento produce passaparola, il passaparola si diffonde in maniera "virale" nella popolazione. E la diffusione virale garantisce notorietà al prodotto. L'importante è riuscire a catturare l'attenzione dell'utente-consumatore in maniera originale, perchè ormai siamo 'assuefatti' e quasi 'impermeabili' ai messaggi veicolati dai media tradizionali.

Il guerrilla advertising ha una sorta di piano di battaglia suddiviso in tre fasi:

1. Fase teaser, preparatoria, caratterizzata da attacchi sporadici e da attività propagandistica al fine di incuriosire;

2. Fase della guerrilla vera e propria: le azioni si intensificano e la marca si svela al pubblico;

3. Fase di consolidamento, in cui le operazioni diventano convenzionali e, se possibile, si passa ai mezzi di comunicazione tradizionali. Questa fase si verifica anche se l'attacco è riuscito e quindi se la guerrilla ha prodotto i risultati voluti.

Al punto 1 mettete le iniziative di Grillo ( il blog, la campagna Parlamento pulito, le inserzioni sui giornali ecc.ecc.)

Al punto 2 mettete il V-Day e le liste civiche 'certificate'

Al punto 3 mettete il passaparola, i Meetup e i comitati che nasceranno per le liste cicivhe.

Una parte del piano sembra che sia stata realizzata...

- Continua...

Leggi la Seconda parte


Note:

Il marketing virale da Wikipedia

Guerrilla advertising da Wikipedia ( in inglese)

La pubblicità, il marketing e la guerrilla

I persuasori fasulli
Vi sono aziende che inventano cittadini fittizi per cercare di cambiare il nostro modo di pensare

La mente del 'fenomeno' Beppe Grillo?
Interessante filmato su You Tube con Gianroberto Casaleggio ( Presidente e socio fondatore della Casaleggio Associati e che è il gestore del blog di Beppe Grillo )

Ipse dixit:
La Rete ha una valenza anticapitalista, con la sua diffusione aumenta il valore delle idee e della conoscenza e diminuisce quello del denaro
dall'articolo "Gli alberi nella neve" di Gianroberto Casaleggio, pubblicato su Web Marketing Tools del settembre 2001



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martedì 10 giugno 2014

Vance Packard, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi


Ho trovato on line questa pagina
è inerente gli argomenti che stiamo trattando
per questa ragione ve la pubblico qui.
Buona lettura

Aldo Vincent
I miei libri li trovate su Amazon.it

http://www.amazon.it/s/ref=nb_sb_noss?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&url=search-alias%3Daps&field-keywords=aldo%20vincent



Studi sul ciclo mestruale ed emotivo delle donne
Uno degli studi più interessanti condotti dalla Weiss e Geller fu una analisi psichiatrica sul ciclo mestruale della donna e sugli stati emotivi che si accompagnano ad ogni fase del ciclo. Scopo della indagine, come ho detto, era di individuare il tipo di messaggio pubblicitario che ha maggiori probabilità di suggestionare le donne durante le varie fasi della mestruazione. In una fase (detta alta) la donna tende a sentirsi creativa, sessualmente eccitabile, propensa al narcisismo, alla generosità, all’amore, e a uscire di casa. Nella fase «bassa”, essa ha invece bisogno, e pretende di essere al centro d’ogni attenzione, esige manifestazioni d’amore e sollecitudine. Uscirà poco di casa, la sua immaginazione lavorerà meno. Weiss spiega:
È evidente che, per raggiungere la massima efficacia, il messaggio deve far presa in entrambe le direzioni. Ad esempio, lo stesso richiamo che reclamizza una polvere “istantanea” per dolci può attrarre sia la donna che si trova in uno stato d’animo creativo ed è tentata di provare qualcosa di nuovo, sia la donna le cui esigenze emotive, in quel particolare momento, sono invece soddisfatte da un dolce che promette “niente lavoro, niente preparazione, niente ricetta”.
Così, dunque, i fabbricanti dei più diversi prodotti cominciarono a considerare i loro clienti potenziali sotto una luce completamente nuova, e alquanto bizzarra. I segreti desideri, i bisogni e gli impulsi irrazionali del pubblico vennero accuratamente scandagliati per trovarne i punti più vulnerabili. Tra i fattori inconsci che compongono il profilo emotivo di quasi tutti gli uomini si scoprirono, ad esempio, la tendenza al conformismo, il bisogno di stimoli orali, e di sicurezza. Non appena tali punti deboli furono individuati, gli ami psicologici furono innescati e calati nel mare del commercio: gli ignari clienti avrebbero certamente abboccato.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 38
Secondo alcuni psicologi, l’occhio della donna è attratto immediatamente dai prodotti contenuti in involucri rossi; mentre lo sguardo dell’uomo corre d’istinto agli involucri blu. Gli specialisti del ramo hanno tentato di spiegare in vari modi la predilezione delle donne per il rosso. Un grafico pubblicitario, Frank Gianninoto, ha una sua curiosa teoria. Egli afferma che la maggior parte delle donne lascia gli occhiali a casa, o meglio, preferisce non portare gli occhiali in pubblico se non in casi di assoluta necessità; per aver successo, una scatola deve quindi spiccare nettamente “dalla nebbia”.
Tuttavia, secondo altri esperti, il fattore fondamentale che, nella giungla del supermarket, determina l’acquisto impulsivo, è la posizione del prodotto sullo scaffale. I venditori più accorti procurano infatti che i prodotti più costosi (sui quali il margine di profitto è più alto) vengano collocati al livello dell’occhio.
Entro il 1955, in quasi tutti i supermarket le merci e i reparti erano disposti secondo un piano preciso, destinato a mettere in evidenza i prodotti maggiormente suscettibili di “acquisto impulsivo”. In molti empori essi erano stati collocati lungo la prima o unica corsia che il cliente potesse infilare.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 117
Nella analisi di Warner, la Signora Maggioranza è una creatura relativamente infelice, che si sente un po’ sola, un po’ isolata, per cui, quando si volge alla televisione, spera di trarne l’immagine di un mondo più allegro di quello in cui trascorre le sue giornate. La Social Research osservò che, ove produttori e finanziatori di programmi televisivi sappiano comprendere le sue aspirazioni profonde, ne saranno ampiamente ricompensati sul terreno delle vendite. Secondo le parole dell’agenzia “essa soffre di un senso di estraniazione dal mondo, che la spaventa e le riesce incomprensibile; e di un senso di solitudine mentre accudisce alle faccende di casa. I programmi pomeridiani devono perciò offrirle il calore di una presenza simpatica”. Sarà forse per questo che dai personaggi che compaiono al pomeriggio sugli schermi televisivi americani (Arthur Godfrey, Garry Moore, Bert Parks, ecc.) emana perennemente una straordinaria giocondità? Secondo gli esperti che hanno studiato il programma di Godfrey per conto della Weiss e Geller, questo attore-presentatore “incarna tutti i sogni fondamentali del ventesimo secolo... ed è il più formidabile venditore del nostro tempo”.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 126
I produttori di programmi televisivi (che in America, com’è noto, vengono interrotti da inserti pubblicitari della ditta che li «offre”) furono spesso messi in difficoltà dal nostro occhio e orecchio interni. Si poté constatare, ad esempio, che una trasmissione può essere troppo emozionante per servire allo scopo. L’agenzia Weiss e Geller non riusciva a comprendere perché il programma da essa studiato per conto dei vini Mogen David non desse i risultati sperati. Era, a detta di tutti, una trasmissione eccellente, molto gradita dagli spettatori: una serie di emozionanti “misteri “ polizieschi. Il pubblico la considerava una delle migliori, ma si ostinava a non comprare i vini della Mogen David. Vennero allora chiamati gli analisti motivazionali. Questi scoprirono, dopo un sondaggio compiuto tra gli spettatori durante la trasmissione, che i “gialli “ creavano una sorta di “frenesia emozionale “, la quale, se da un lato, temporaneamente, eccitava il pubblico, dall’altro tendeva a “paralizzarlo “.. A riprova dei loro accertamenti, gli investigatori citavano numerosi studi scientifici condotti su persone in stato di estrema tensione, quella stessa, cioè, che un buon dramma poliziesco è tenuto a provocare. Uno psicologo della Università Columbia, il dottor J. A. M. Meerloo, scopri, ad esempio, che sotto l’effetto di un panico improvviso “gli individui mantengono un comportamento curiosamente impassibile... il loro cervello non gli suggerisce nessuna soluzione; sono come congelati nello spazio; non pensano a nulla... Molte persone, appena uscite da questo stato di panico, affermano di non ricordare nulla di quanto è accaduto durante la crisi. Nessuno, quando si trova in tali condizioni, è in grado di intraprendere una qualsiasi azione — mentale o fisica”.
L’agenzia ne trasse la conclusione che lo stato, sia pur minimo, di panico provocato dai drammi polizieschi, per quanto potesse riuscire emozionante e dilettevole al pubblico, produceva negli spettatori una perdita di memoria, impedendo loro di captare il consiglio dell’annunciatore che li esortava a scendere difilato in strada a comprare il vino Mogen David. Molto probabilmente, una parte del pubblico non udiva neppure lo slogan! Secondo la relazione finale “l’eccitazione del dramma poliziesco produceva uno shock, oscurando completamente “ quell’atmosfera patriarcale e casalinga che l’annunciatore tentava di creare in rapporto al vino. Quando i gialli vennero sostituiti da trasmissioni più pacate, le vendite del prodotto salirono, nelle zone-pilota, di oltre il 100 per cento. (Un’altra ditta vide salire le vendite del 66 per cento quando sostituì a una serie di polizieschi un diverso tipo di programma televisivo).
Una trasmissione può essere non soltanto troppo emozionante ma anche troppo divertente per lo scopo che si propone. Tale fu, per lo meno, la triste conclusione cui giunse la Philip Morris, che aveva investito milioni di dollari nella acclamatissima serie comico-musicale I love Lucy. Mentre Lucy diventava la trasmissione più popolare della televisione americana, le vendite delle Philip Morris segnavano il passo, e anzi calavano del 17 per cento. Come già ho detto, altri fattori, relativi alla “personalità “ della marca, avevano probabilmente la loro parte di responsabilità; ma, come scrisse la rivista “Tide “, “non pochi, alla Philip Morris... hanno il dubbio che una trasmissione di grandissimo successo non sia di alcuna utilità per le vendite. La ragione: durante gli inserti pubblicitari gli spettatori parlano tra loro del programma.. È un fatto che da da pensare. I messaggi pubblicitari giungono forse a destinazione soltanto se la trasmissione è mediocre? “ La domanda risale al 1955. Oggi non pochi spettatori dei programmi televisivi americani hanno diritto di porsela. È possibile che talune tra le trasmissioni decisamente brutte siano tali di proposito, per dare maggior forza di penetrazione agli inserti pubblicitari?
Frattanto il presidente di un’agenzia di San Francisco raccomandava ai suoi colleghi di offrire al pubblico qualcosa di più oltre al puro e semplice discorso pubblicitario. Egli osservò che ai tempi della radio l’ascoltatore poteva senz’altro chiudere l’orecchio interno non appena un noto e non gradito messaggio pubblicitario cominciava. E aggiungeva: “Non è così facile compiere un’operazione del genere con la televisione. Staccare gli occhi dallo schermo chiudendo contemporaneamente le orecchie richiede uno sforzo fisico non indifferente... La possibilità di fare una cattiva impressione alla TV è grande, e a nostro parere molte ditte ne hanno largamente approfittato... Un inserto commerciale deve offrire allo spettatore qualcosa oltre al messaggio pubblicitario. Il pubblico deve ricevere qualche sorta di premio emotivo per aver guardato l’inserto”. In altre parole, occorre lavorare sul pubblico in profondità.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 166
La psicoseduzione dei bambini
«I bambini sono magnetofoni viventi di ciò che noi gli diciamo ogni giorno”.
Gli analisti motivazionali vennero invitati a studiare i mezzi più efficaci per un completo condizionamento dei bambini. La Social Research considerò il problema in un apposito studio, da cui risulta che i due fattori fondamentali da tenere presenti in un programma televisivo sono: soddisfare i «bisogni segreti “ del bambino e garantire l’«accettabilità” del programma stesso (e cioè tranquillizzare la mamma, che in qualsiasi momento potrebbe proibire al bambino di assistere alla trasmissione). Lo studio forniva un certo numero di suggerimenti psicologici.
Una trasmissione può «attrarre “ il bambino, ad esempio, senza necessariamente procurargli piacere o divertimento: così, può aiutarlo a esprimere, in maniera agevole e diretta, le sue fantasie e le sue tensioni interne. Può farlo andare in collera, o confonderlo, o spaventarlo, per offrirgli il modo di liberarsi dell’ira, della confusione o dello spavento. Dosare l’elemento paura è oltremodo difficile, poiché uno stesso spettacolo può essere spaventoso quanto occorre per gli spettatori di Otto anni, ma troppo spaventoso per quelli di sei anni, e non abbastanza tale per quelli di dieci anni.
La Social Research esaminò le ragioni dell’enorme successo di una trasmissione per bambini intitolata “Howdy Doody “, e accertò la presenza di elementi che offrivano ai bambini assai più di un infantile divertimento. Clarabelle, l’indiavolato clown che è uno dei protagonisti, ha, ad esempio, tutte le caratteristiche dei bambini ribelli; secondo gli autori della relazione “egli rappresenta la resistenza dei bambini all’autorità degli adulti e in genere riesce a passarla liscia”. La relazione continuava: “In generale, la trasmissione fa leva su sentimenti di ostilità repressa per prendersi gioco degli adulti o presentarli in una luce sfavorevole. I personaggi “cattivi sono tutti adulti, e appaiono caratterizzati o da un enorme potere o da un’enorme stupidità”. Quando i personaggi adulti vengono mostrati in situazioni ridicole, impigliati inestricabilmente nei loro stessi abiti o messi nel sacco dalle marionette, i bambini che recitano nello spettacolo hanno agio di dare prova della loro netta superiorità. “In altri termini, — spiegava la relazione, — si verifica un completo capovolgimento di posizioni; «gli adulti si comportano in maniera infantile” e sciocca, mentre i bambini si dimostrano «adulti e capaci”.
Questa subdola azione di cecchinaggio contro i simboli dell’autorità dei genitori si svolge mentre Mammina, incapace di leggere attraverso le pur trasparenti trasmissioni, continua a chiacchierare al telefono sicura che in quel momento i suoi figli stanno godendosi gli innocui e puerili scherzetti proiettati elettronicamente dal prezioso “pacificatore di famiglia”.
Passando poi ad analizzare i programmi di avventure spaziali, gli psicologi della Social Research accettarono che lo stampo comune a questi spettacoli, siano essi ambientati nel ventunesimo o nel ventiquattresimo secolo, è: «Contrasto “bravi tipi” versus «uomini cattivi con apparato di modernissimi strumenti scientifici e meccanici”. Non è un caso che si parli non già di tipi cattivi, ma di uomini cattivi.
I bravi tipi, scoprirono gli investigatori, erano tutti giovanotti sulla ventina, organizzati in gruppo e con un fortissimo senso di solidarietà. Il capo veniva presentato come una specie di fratello maggiore (non un simbolo paterno). E i malvagi o i vigliacchi erano uomini più anziani tali da poter «rappresentare” il padre. Costoro erano immancabilmente o cattivi o deboli.
Tutto ciò si può in gran parte interpretare come una presa in giro indiretta dei genitori, che offre ai bambini un mezzo eccitante, e non rischioso, di sfogarsi contro di loro. «Per i bambini, — precisava la relazione, — gli adulti costituiscono una “classe dominante” contro la quale non hanno speranza di ribellarsi”.
La relazione suggeriva inoltre ai produttori di programmi televisivi taluni accorgimenti per tranquillizzare i genitori: prendere, ad esempio, le parti dei grandi in situazioni di scarsa importanza per l’intreccio (un personaggio “adulto “ che, incidentalmente, inviti il “piccolo “ a finir di mangiare quel che ha nel piatto); oppure, “aggiungere una inzuccherata educativa. Chiamare un film di cow-boys «Storia americana” e un’avventura spaziale «uno spettacolo scientifico” si è rivelato un modo efficacissimo per evitare le lagnanze dei genitori”. E il consiglio finale era: «Abbiate sempre una parola anche per i genitori... L’idea che i bambini possono essere persuasi a comprare qualsiasi cosa... irrita notevolmente i genitori. Lievi modifiche in questo senso tolgono alla trasmissione ciò che può avere di offensivo per i grandi senza farle perdere credito presso i bambini”.
Talune ditte sollecitano il favore del pubblico infantile procurando che i loro prodotti offrano, di per sé, uno sfogo all’aggressività dei piccoli. Il consulente di public-relations E. L. Bernays, notoriamente seguace della ricerca motivazionale, dichiarò che i cereali di maggior successo (corn-flakes, pop-corn, rice-crisps ecc.) sono quelli che permettono una masticazione rumorosa, smorzando in tal modo l’ostilità e offrendo uno sfogo agli istinti aggressivi. (Bernays è stato consulente di varie ditte alimentari). Un cibo che promette di scoppiare e crocchiare offre evidentemente ai piccoli qualcosa di più che un certo numero di calorie.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 175
Gli specialisti studiarono, come caso tipico, il successo, appunto, di Davy Crockett, e lo attribuirono alla presenza dei tre ingredienti essenziali senza i quali una voga non può affermarsi: simboli, veicolo di diffusione, e appagamento di un bisogno inconscio. Il veicolo di diffusione, e gli esperti lo definirono concordemente di primissimo ordine, era la canzone La ballata di Davy Crockett, la quale veniva ripetuta sotto vari arrangiamenti in tutti i film di Walt Disney. I simboli erano numerosi e di grande suggestione: berretto di pelliccia, giubba frangiata, fucile ad avancarica. «Tide “ spiegava: “Tutti i movimenti molto popolari, dalla croce cristiana, aIla svastica nazista, hanno avuto i loro simboli distintivi”.
Quanto all’appagamento di un bisogno inconscio, il dottor Dichter si espresse in questi termini: “I bambini cercavano il mezzo di esprimersi in termini di tradizioni nazionali. Crockett offrì loro questa opportunità. Al limite, ognuno di essi si sentiva veramente Davy Crockett... “
Come si spiega il crollo subitaneo di una voga? Gli esperti affermano che una delle cause è il supersfruttamento. Ma vi sono anche ragioni sociologiche. Politz osservò che una voga si diffonde dall’alto verso il basso. Quando si tratta di adulti, ciò significa il passaggio dagli strati colti e abbienti ai ceti più bassi. Quando si tratta di bambini Politz spiegò: A dare il via sono i più grandicelli, i quali scoprono la voga e in seguito la vedono propagarsi tra i piccoli, una “classe” con la quale non desiderano identificarsi. Allora deliberatamente l’abbandonano”.
Sia Politz che Dichter si dissero certi che non soltanto era possibile pianificare e controllare il corso di una voga per trarne maggiori profitti, ma che addirittura si potrebbero creare dal nulla delle infatuazioni collettive lucrosissime. «Tide” definì tale possibilità «affascinante”. Il dottor Dichter afferma che, applicando le tecniche della ricerca motivazionale, si potrebbe perfino lanciare una voga di ampiezza pari a quella di Davy Crockett, solo che i promotori riescano a identificare un bisogno inconscio della clientela infantile e ad accordarvi la loro campagna.
Politz, dal canto suo, dichiarò che gli esperti sono perfettamente in grado di stabilire le leggi generali cui obbedisce una voga di grande successo. Inchinandosi ai tecnici pubblicitari, aggiunse che, una volta stabilite tali leggi, occorre però «il tocco creativo”. Entrambi gli studiosi affermarono che a questo stimolante compito — create delle voghe di prima grandezza per i nostri figli — devono concorrere insieme il ricercatore puro e il tecnico pubblicitario d’ingegno.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 178
Il reclutamento di nuovi consumatori
Un tentativo ambizioso e particolarmente significativo di correggere le nostre abitudini di vita si può definire la campagna che, a prezzo di molti milioni di dollari, l’industria dell’abbigliamento maschile decise di condurre per costringere gli uomini a curate la propria eleganza. Gli uomini americani non mostravano infatti molto interesse per queste cose, e avevano la deplorevole abitudine di portare lo stesso vestito per anni e anni di seguito. Mentre gli altri settori della produzione facevano passi da gigante le vendite di abiti maschili stagnavano. Alcuni anni fa il direttore della National Fashion Previews of Men’s Appatel, Inc., diagnosticò: «Il vero male di cui soffre il nostro ramo è la mancanza di invecchiamento”. E già fin dal 1955 il presidente dell’American Institute of Men and Boy’s Wear poneva il problema in questi termini: il consumatore ha “un atteggiamento indifferente se non addirittura negativo nei confronti del proprio guardaroba”. Perché mai nella famiglia, si chiesero alcuni, la donna deve spendere nell’abbigliamento il 6o per cento più dell’uomo, il quale, essendo «quello che guadagna il pane”, dovrebbe sempre cercate di ben figurare nel mondo?
Perfino per quanto riguardava le calzature il maschio americano lasciava molto a desiderare. Nel 1953 egli possedeva, in media, 1,9 paia di scarpe, cifra davvero molto bassa rispetto alle 2 paia e più del 1942. Tale declino venne in parte attribuito al fatto che molti uomini usavano come scarpe da riposo le calzature messe in liquidazione dai magazzini dell’esercito. Un esponente della Associazione Nazionale dei Calzaturifici dichiarò: «Gli uomini americani, questa è la verità, non comprano abbastanza scarpe”.
Gli psicologi che studiarono il problema giunsero alla conclusione che gli uomini erano trattenuti dal timore di apparire troppo vistosi. Ma i persuasori di professione pensarono che tale atteggiamento poteva essere controbilanciato dal crescente desiderio degli americani di far buona impressione sul gruppo sociale cui appartengono, o, in altri termini, dal fatto che essi sono ormai etero-diretti. (Secondo la definizione di David Riesman, il sociologo dell’Università di Chicago, etero-diretto è colui che — a differenza dell’auto-dirètto di un tempo, il quale è guidato dai principi che durante l’infanzia i suoi maggiori hanno instillato in lui — è guidato in prevalenza, nel suo comportamento, dal desiderio di adeguarsi a ciò che da lui si aspetta il gruppo sociale che egli frequenta abitualmente).
Era evidente che gli uomini americani dovevano ad ogni costo essere richiamati all’eleganza. Pierre Mattineau osservò che mentre la maggior parte delle industrie del consumo americane aveva raddoppiato le vendite e i profitti nel decennio, l’industria dell’abbigliamento maschile non aveva fatto un passo avanti; e ciò perché “non si è fatto abbastanza per vendete al maschio americano sulla base dell’eleganza”. Occorreva dunque fargli sentire che nel campo dell’abbigliamento “stanno succedendo cose molto eccitanti”.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 179
«il più grave pericolo” che minaccia la nostra economia, il pericolo che la produzione superi il consumo.
Ma la più ricca e affascinante delle terre vergini su cui i persuasori posarono gli occhi fu quella del riposo (relaxing). Era questo un campo che, adeguatamente sfruttato, poteva rendete non milioni ma decine di miliardi di dollari. Come notava la rivista «Tide”: «è incredibile la quantità di denaro che un uomo può spendere mentre si riposa”.
Ciò che metteva i persuasoti in uno stato di frenetica eccitazione era il fatto che, a causa dell’automazione e di altri fattori, l’orario settimanale di lavoro andava continuamente riducendosi. Secondo un consulente dell’agenzia pubblicitaria di New York, Batten, Batton, Durstine e Osborn, il lavoratore medio se ne stava lontano dalla fabbrica o dall’ufficio per 125 giorni all’anno, durante i quali disponeva di più denaro che in passato. Entro il 1960 l’orario di lavoro sarebbe sceso a una media di 3 ore settimanali, e entro il 1980 a non più di 30 ore. Questa porzione sempre più larga di tempo libero, convennero i persuasori, era un fenomeno di enorme importanza. A saperlo sfruttare, osservava la rivista Tide “, si sarebbero potuti “risolvere innumerevoli problemi”. Un professore di Yale affermò che il tempo libero era forse in grado di dissipare «il più grave pericolo” che minaccia la nostra economia, il pericolo che la produzione superi il consumo. Un altro giornale economico scrisse che il mercato degli svaghi poteva diventare la componente dinamica di tutta l’economia americana. E «Tide” dedicò un dibattito in quattro puntate alla situazione — e al miglior modo di trarne profitto.
I persuasori non tardarono a scoprire una particolarità del carattere americano che, dal loro punto di vista, era altamente encomiabile: l’americano medio non sa starsene senza far nulla. L’idea di abbandonarsi completamente al riposo, lasciando da parte ogni preoccupazione, gli riesce assolutamente intollerabile. Gli europei hanno avuto modo di notare che i turisti americani non sono capaci di andarsene a spasso, godendosi pigramente le bellezze locali; essi devono seguire un programma rigorosissimo, di cui potranno poi vantarsi una volta tornati in patria. Questo orrore dell’otium offriva la possibilità di persuadere milioni di americani a dedicate le loro giornate di riposo “ agli hobbies più svariati e dispendiosi.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 186
Anche i maghi del profondo cominciavano a interessarsi alla politica. Durante la campagna del 1952 il dottor Dichter affermò che le varie prese di posizione su problemi come la Corea e l’inflazione avrebbero avuto ben poca influenza sul risultato finale. Il perno della campagna, egli assicurò, stava nella suggestione emotiva esercitata dai candidati rivali. Durante la campagna del 1952 la sua agenzia condusse un’inchiesta fra gli elettori che rispondono «non so”, servendosi, per sondate il loro sottofondo emotivo, degli stessi test di proiezione usati per individuare possibili affinità tra l’immagine di un prodotto e il consumatore. Dopo l’elezione l’agenzia intervistò le persone che erano state interrogate (tutte incerte) e scopri che il 97 per cento di esse aveva votato proprio come le risultanze dell’indagine avevano lasciato prevedere. Un portavoce dell’agenzia disse che l’elettore incerto non è affatto il cittadino lucido e «indipendente” che spesso si ritiene sia. Al contrario, egli “prende la sua decisione per ragioni spesso futilissime, quali ad esempio l’antipatia per la moglie di un candidato”. James Vicaty svolse una indagine dello stesso tipo a Kingston, nello stato di New York, durante una campagna per le elezioni municipali, e constatò che era possibile predite con notevole esattezza per chi avrebbe votato il cittadino «incerto”.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 196
Vari commentatori politici (fra i quali Reston, Dorothy Thompson, Doris Fleeson) rilevarono nel 1956 la crescente importanza del fattore personalità “ nella vita politica americana. Dorothy Thompson lo definì addirittura il culto della personalità”. Il sociologo David Riesman, notando lo stesso fenomeno, lo considerava una prova di più del fatto che la vita americana è entrata nella fase etero-diretta. Consumatori accaniti, gli americani considerano ormai perfino la politica come un genere di consumo. Ciò li induce sempre più a preferire il candidato che “si presenta “ meglio; e la scelta di un “contenuto “ politico dipende in misura crescente dalla forma che esso prende in pubblico. Ne La folla solitaria Riesman osserva: Come, in campo commerciale, la suggestione esercitata dalla confezione e dalla pubblicità di un prodotto si sostituisce alla convenienza del prezzo, cosi in campo politico, la suggestione esercitata dalla confezione” del candidato o mediante una tendenziosa manipolazione dei mezzi di diffusione di massa, si va sostituendo alla ricerca dell’interesse personale che determinava la scelta del tipo auto-diretto”.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 196
Le difficoltà democratiche erano aggravate dal fatto che sebbene avessero stanziato almeno 8 milioni di dollari per la propaganda radiotelevisiva, non riuscivano a trovate una agenzia pubblicitaria disposta a curare i loro interessi. I grossi persuasori erano per lo più orientati verso l’altra parte. La cosa assunse le proporzioni di uno scandalo negli ambienti pubblicitari tra la fine del 1955 e l’inizio del 1956: i mesi passavano e i democratici continuavano a cercate invano di interessate un’agenzia ai loro milioni. Il periodico commerciale Printer’s Ink “ riconobbe che i democratici incontravano difficoltà in tal senso perché, a quanto si afferma, le grandi agenzie non vogliono alienarsi gli uomini d’affari repubblicani che sono alla testa di molte industrie loro clienti. In taluni circoli pubblicitari si definisce un’idea simile ridicola”. Anche «Advertising Age “giudicava alquanto ridicolo il sospetto, ma ammetteva:
L’affermazione secondo la quale i repubblicani avrebbero una scelta potenziale molto più ampia contiene probabilmente quel minimo di verità che basta a renderla imbarazzante “. La rivista proseguiva dicendosi lieta che 1e agenzie e i metodi pubblicitari trovassero una sempre più larga applicazione in campo politico. “un fatto molto positivo”. Meno positiva, secondo la rivista, era “la discussione attualmente in corso circa l’importanza della pubblicità in campo politico “ e l’impressione, sempre più diffusa tra i cittadini, che per un partito o candidato abbia grande importanza il colore dell’agenzia pubblicitaria prescelta. (Una indicazione delle simpatie politiche dei circoli pubblicitari la si trova nella relazione sul finanziamento dei partiti presentata dal Senato al termine della campagna elettorale: risulta da essa che i dirigenti di trentasette grandi agenzie di pubblicità sottoscrissero 51 mila dollari per il partito repubblicano, e non un solo dollaro per il partito democratico).
Mentre la ricerca dei democratici si faceva sempre più affannosa si cominciò a parlare di fate intervenire in loro aiuto una “squadra di soccorso”, sotto forma di un pool anonimo di tecnici pubblicitari reclutati dalle varie agenzie. Taluni avanzarono anche la proposta di creare una sorta di speciale “agenzia di salvezza “ cui avrebbero potuto ricorrere i partiti in mancanza di una regolare agenzia.
Le acque si calmarono quando infine una piccola, ma attiva agenzia, la Notman, Ctaig e Kummel, accettò di prendere in mano la campagna democratica. Si tratta della stessa ditta cui si deve la celebre serie di manifesti: «Ho sognato che fermavo il traffico col mio reggiseno Maidenform “. Il rapporto di forze con la BBD & O era quello tra Davide e Golia, ma, a prescindere da ogni considerazione politica, gli ambienti pubblicitari attesero il confronto con estremo interesse.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 211
L’uomo eterodiretto
L’apparizione nella società americana dell’uomo eterodiretto — l’uomo che tende sempre più a vivete la vita del gruppo e a giocare il gioco di squadra venne accolta con molto favore da un vasto settore dell’industria degli Stati Uniti. Le persone che si imbrancano in gruppi, come ogni generale sa bene, sono più facili da guidare, controllate, domare. Il concetto della «squadra” era un grande aiuto, se non addirittura una necessità, per le grandi aziende, i grandi sindacati e le grandi organizzazioni politiche e governative che, dal 1950, dominavano completamente la scena americana. Charles Wilson, una creatura della grande industria che i repubblicani nominarono ministro della difesa, sintetizzò chiaramente i termini della questione allorché, nel i 956, taluni dei suoi più autorevoli subalterni ebbero l’ardite di esprimere concetti propri. “Chiunque non faccia il gioco di squadra — disse il ministro — e si permetta di metter fuori la testa, può venirsi a trovare in una situazione pericolosa”.
Intorno al 1950 la rivista «Fortune”, che è considerata una emanazione della grande industria americana, esprimeva una certa inquietudine nei confronti della nuova tendenza, e si serviva del termine orwelliano “pensiero collettivo “ per definirne taluni aspetti. Nell’articolo si consigliava ai rappresentanti del grande capitale di lasciar perdere per un momento le invettive contro i criptosocialisti di Washington per dare un’occhiata alle subdole trasformazioni dilaganti nel loro stesso giardino. L’autore, William H. Whyte, affermava: «Una cosa molto curiosa è accaduta nel
nostro paese senza che quasi ce ne avvedessimo. In un paese dove l’individualismo — indipendenza e autonomia — e stato per tre secoli la parola d’ordine, si è giunti insensibilmente alla conclusione che l’individuo non ha di per sé nessun valore se non in quanto appartiene a un gruppo”. Whyte affermava che il nuovo ideale nazionale stava, ormai diventando una sorta di “conformismo razionalizzato “, e denunciava la comparsa di un numero sempre crescente di social engineers, pronti a collaborare entusiasticamente con le grandi aziende nei problemi relativi al personale.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 215
Applausi preconfezionati
Crescendo il bisogno di ilarità sintetica in dosi esatte, vennero via via perfezionate le tecniche per produrla. Un ingegnere televisivo inventò una macchina simile a un organo, con sei tasti che possono accendete e spegnere sei tipi di risata, da quella a fior di labbra, alle frenetiche esplosioni a gola spiegata. Per giunta, l’operatore può combinarle tra loro, improvvisando decine di variazioni sui sei temi fondamentali. Sempre secondo “Newsweek “ il produttore della rivista televisiva I love Lucy ha escogitato un apparecchio capace di produrre cento diversi tipi di risate.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 218
Nelle industrie, che qui soprattutto ci interessano, la dottrina del gioco di squadra coincise con l’ingresso in fabbrica e negli uffici di psicologi e di altri social engineers. Costoro applicarono ai problemi del personale le tecniche della dinamica di gruppo, del sociodramma, della psicoterapia di gruppo, della fisica sociale. Come ebbe a scrivere «Fortune”: «Uno sbalorditivo arsenale di tecniche e discipline sono state prese a prestito dalle scienze sociali per scatenare una grande offensiva contro l’imprevedibilità dell’uomo”. La rivista faceva notate che le cosiddette riunioni di gruppi si erano a tal punto diffuse che in talune aziende i dirigenti «non hanno letteralmente un solo minuto per starsene soli”. Se un impiegato si mostra scontento dell’azienda o dell’ambiente in cui lavora, i social engineers ritengono loro dovere aiutarlo a liberarsi della sua insoddisfazione psicologica. «Fortune” citava le parole di uno di questi specialisti: «Gli psicologi hanno ottenuto grandi successi nella cura e nella manipolazione di individui inadattati. Pare a me che nulla ci impedisca di raggiungere risultati altrettanto brillanti applicando le stesse tecniche ai dirigenti d’azienda”.
La crescente richiesta, da parte delle aziende, di quadri dirigenti idonei al «gioco di squadra”, contribuì alla formazione di una classe di funzionari dalle caratteristiche personali ben distinte. Una prova indiretta si trova nelle risultanze di uno studio condotto da Lyle Spencer, presidente della Science Research di Chicago, sulla Associazione dei Giovani Presidenti. Si tratta di uomini che sono diventati presidenti delle loro società prima dei quarant’anni. Necessariamente, o per lo meno conseguentemente, la maggior parte di costoro sono alla testa di aziende relativamente piccole, non di grandi complessi. A proposito della personalità di questi giovani presidenti Spencer scriveva:
«Non sono molto portati al gioco di squadra. Una cosa sola impedisce loro di essere a capo della Generai Motors: non hanno imparato ad essere dei pazienti conformisti. Hanno agito troppo a lungo di testa propria”.
La tendenza delle società a discriminare il personale a seconda della maggiore o minore idoneità al gioco di squadra si è palesata in mille modi. Nel febbraio del 1954 la «Dun’s Review and Modem Psychiatry” scriveva: “Prima di procedere a un’assunzione o a una promozione occorre accettate se il candidato sia un buon “giocatore di squadra”... La capacità di inserimento dell’individuo nel complesso aziendale ha assunto tale importanza sia per la direzione che per l’individuo stesso, che tutto ciò che la psichiatria può rivelate sul conto dell’individuo diventa di estrema importanza per il gruppo”.
«Iron Age”, in un articolo intitolato Le domande di assunzione al vaglio della psicologia, riferiva come le acciaierie Atmco si fossero convertite alla psicologia, che il giornale definiva “termine eufemistico per indicate una tecnica che solleva il “sipario di ferro” dietro il quale gli esseri umani cercano spesso riparo... “ Grazie a questi nuovi metodi di selezione, scriveva il giornale, la Armco era riuscita a ridurre dal 5 all’1 per cento il numero dei nuovi assunti che in seguito risultavano avere caratteristiche personali indesiderabili o al limite della norma. Fra l’altro, la Atmco sottoponeva i candidati a una serie di test sulla loro “socievolezza “. L’articolo affermava che 20 mila dipendenti erano stati «intervistatiper stabilite in base alla loro personalità avanzamenti e nomine a posti di maggior responsabilità.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 219
Come si devono trattare le persone ostinate
Fra i tratti più deplorevoli che caratterizzavano i ribelli, andavano annoverate la «suscettibilità” e la «permalosità”.
Un dirigente dell’ufficio personale della Sears, Roebuck, scriveva in un opuscolo destinato a illuminare centinaia di migliaia di adolescenti americani: «Quando scegliete un lavoro, entrate a far parte di una squadra... Non dovete pretendere che il resto del gruppo si adegui alla vostra personalità. I vostri colleghi lavoravano in perfetto accordo già prima che arrivaste voi. Tocca a voi diventare uno di loro...”
La Science Research Associates di Chicago, offre ai grandi complessi i servigi di «provetti psicologi e sociologi” per le seguenti funzioni: vagliare gli aspiranti a cariche direttive; scoprire ciò che pensano i dipendenti del loro lavoro e della società; misurare con maggiore esattezza le prestazioni dei dipendenti.
Varie aziende assunsero direttamente uno psichiatra di professione. E cominciò a diffondersi l’uso di psicanalizzare in vari modi i dipendenti durante il lavoro. In un grande magazzino di Boston le commesse servivano la clientela sapendo che, alle loro spalle, uno psicologo le teneva in osservazione registrando ogni loro azione su uno strumento chiamato «cronografo dell’interazione”, che incideva i dati su nastro magnetico. Le informazioni così raccolte sul modo di parlare delle ragazze, sui loro sorrisi e sui loro minimi gesti e movimenti mentre trattavano col cliente, fornivano un quadro della loro socievolezza e delle loro attitudini.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 220
Situazioni sindacali
Gli psicologi aziendali estesero le loro attività anche al settore sindacale. Uno di essi, Robert McMurry, percepiva dai datori di lavoro i 25 dollari l’ora per diagnosticare e risolvere le più difficili situazioni sindacali. È opinione generale che gli operai aderiscano ai sindacati per ottenere salari più alti, maggiore sicurezza sul lavoro, e altri benefici tangibili. Ma il dottor McMurry, in base alla documentazione raccolta nelle 100 e più aziende in cui aveva prestato la propria consulenza, giunse alla conclusione che quelle suddette, in molti casi, non sono affatto le ragioni determinanti. La ragione più importante, egli affermò, stava nell’inconscia aspirazione degli operai a migliorare il clima emotivo del lavoro, sicché spesso la lotta sindacale altro non sarebbe che un mezzo per sfogare impulsi aggressivi non risolti.
McMurry riassunse i risultati della sua inchiesta «psicodinamica “ sulle cause di tanti conflitti aziendali cui aveva assistito con queste memorabili parole: «Là dove la direzione non ha saputo assumersi il ruolo del padre bonario e protettivo, il sindacato è diventato una madre affettuosa che strappa concessioni a quell’avaraccio di padre”. McMurry scopri che circa il 5 per cento di tutti i lavoratori era composto di insoddisfatti cronici. Per costoro non si poteva più far nulla. Ma per il restante 95 per cento egli era persuaso che si potesse far molto modificando il sotto-fondo emotivo del loro ambiente di lavoro e creando un clima di armonia.
Una agenzia specializzata nell’appianare le vertenze aziendali con metodi psicologici cita il caso seguente: un industriale dell’Ohio venne informato, con sua grande meraviglia, che gli impiegati suoi dipendenti erano sul punto di iscriversi in massa al sindacato operaio della fabbrica. Si affrettò allora a chiedere l’intervento dell’agenzia, sperando che quegli psicologi scoprissero le ragioni dello scontento e trovassero il modo di impedire un cosi grave tradimento. Una pattuglia formata da due psicologi e da un sociologo sottopose tutto il personale a una minuziosa inchiesta. Risultò che una buona parte degli insoddisfatti erano donne che lavoravano in un’ala buia e isolata, dove si sentivano trascurate. Il loro morale risali di colpo non appena ottennero più ampie finestre, migliore illuminazione, e un certo numero di privilegi. Altri impiegati si sentivano sperduti e infelici in uffici troppo affollati e anonimi. Quando furono suddivisi in squadre riacquistarono la loro identità e tranquillità d’animo.
Devo sottolineare che questa manipolazione dei dipendenti dell’industria ha di solito lo scopo, innegabilmente costruttivo, di render loro più gradito il lavoro. Molto spesso ciò si ottiene semplicemente concedendo un riconoscimento e una attenzione individuali, o tenendo conto del fatto che i simboli di prestigio possono assumere un‘importanza enorme agli occhi di chi lavora in una azienda fortemente stratificata. Tipico è a questo proposito il caso di un funzionario che godeva, apparentemente, dello stesso prestigio e degli stessi privilegi dei suoi pari-grado, e tuttavia continuava a mostrarsi profondamente afflitto. Un’inchiesta permise di appurarne il motivo: la sua scrivania aveva soltanto tre cassetti, mentre quelle dei suoi colleghi ne avevano quattro. Non appena gli venne concessa una scrivania con quattro cassetti il suo risentimento scomparve.
È interessante notare che le grandi industrie si sono servite della manipolazione e della selezione psicologica soprattutto nei confronti dei propri quadri dirigenti. Intorno al 1950 «Fortune” osservava che «il fenomeno più importante che si sia verificato nel campo della direzione aziendale dalla fine della guerra a questa parte è l’adozione da parte delle grandi industrie di metodi psicologici per la scelta dei propri supervisori e alti funzionari”. La rivista citava, fra le società seguaci di questo nuovo orientamento, la Standard Oil, la Sears Roebuck, la Inland Steel, la Union Carbide and Carbon, la Generai Electric. Parallelamente le agenzie specializzate nella consulenza aziendale potenziavano i propri uffici psicologici. La grande agenzia di consulenza Stevenson, Jordon e Harrison, ad esempio, che non aveva prima del 1940 un ufficio psicologico, nel 1945 disponeva di una équipe di trenta psicologi. Uno di essi, Perry Roher, se ne staccò in seguito (portando con sé diciotto colleghi) e apri una agenzia per proprio conto, che entro il 1950 aveva già analizzato i quadri direttivi di ben 175 aziende. In quei primi anni, una delle iniziative più rimarchevoli fu la elaborazione di un test (ad opera di Burleigh Gardner, Lloyd Warner e William Henry) per individuare, tra gli alti funzionari dell’industria, le persone idonee ad occupare le cariche più elevate. Risultò che per entrare nella ristretta rosa dei papabili era indispensabile avere un alto concetto dell’autorità. «Il dirigente ideale l’accetta senza risentimenti, e guarda ai suoi superiori come a persone di maggiore esperienza e capacità... che hanno il compito di elaborare direttive cui egli obbedisce senza riserve mentali”.
E la relazione aggiungeva: «Un simile atteggiamento è la condizione prima per essere un buon dirigente, giacché da esso dipendono i rapporti con i superiori”. Gli autori citavano poi vari casi di individui apparentemente idonei alle massime cariche direttive, che invece, allume dell’analisi psicologica, rivelavano nei confronti dell’autorità atteggiamenti ben poco rassicuranti. Uno di costoro vedeva i suoi colleghi come «rivali o avversari che era suo compito sconfiggere. Né per lui il superiore si configurava chiaramente come una persona degna di guidare o dirigere”.
Un altro candidato aveva un alto concetto dell’autorità, ma purtroppo riteneva di essere il più qualificato ad esercitarla: “Inconsciamente, si sentiva di gran lunga superiore a quasi tutti i suoi superiori “. Tale scoperta, evidentemente, segnò la fine della sua carriera.
Alcune aziende cominciarono a sottoporre tutti gli aspiranti a cariche direttive a dei test psichiatrici, come le tavole del Rorschach, per individuare i nevrotici e gli psicotici potenziali. Una fabbrica di matite, ad esempio, rivelò che questo sistema dava spesso concreti risultati, e citò il caso di un dipendente affetto da una forma acuta di narcisismo. Invece di licenziarlo, la ditta pensò bene di servirsi proprio di questo suo disturbo, elargendogli tutte le lodi di cui la sua egocentrica personalità aveva bisogno.
Per mostrare ai “circoli responsabili “ dell’industria americana i vantaggi offerti da una analisi psicologica completa di tutti i quadri direttivi di un’azienda, la rivista «Fortune” pubblicò nel luglio 1950 una diagnosi compiuta per conto di una ditta dagli esperti della Stevenson, Jordon e Harrison. Si trattava di una vera e propria mappa, che rendeva conto graficamente — con circoli, quadrati e frecce —delle caratteristiche di quarantasei supervisori e alti dirigenti della ditta. Ogni valutazione era il risultato di lunghe interviste e di una serie di test. Quei circoli, quadrati e frecce stavano a indicare l’efficienza sul lavoro, l’equilibrio emotivo, ecc. Anche il loro colore aveva un significato: si andava decrescendo dal blu (eccezionale) attraverso il nero e il giallo, fino al rosso (pressoché irrecuperabile).
Non sorprende che la valutazione relativa al presidente della ditta in questione, al quale presumibilmente la relazione venne sottoposta, risultasse «eccezionale”, giustificando cosi la sua attuale posizione. Vari altri soggetti avevano qualche circolo blu. Mentre le cose si mettevano male per il direttore amministrativo della società, il quale aveva un quadrato giallo, un circolo nero e una freccia gialla, il che significava: «Al disotto della media… lavora al minimo delle proprie possibilità... Equilibrio emotivo inferiore alla media: per sviluppare le proprie qualità necessita di una terapia continuata”. Quello che, nelle alte sfere, stava peggio di tutti era il direttore delle relazioni industriali. C’è da sperare che non fosse un uomo ambizioso, perché sul grafico comparivano accanto al suo nome un quadrato, una freccia e un circolo rossi, vale a dire: «Inadatto alla carica che ricopre... Capacità potenziali dubbie. Profondo squilibrio emotivo: inutile tentare il ricupero”.
Conclusa la diagnosi, spiegava la relazione, comincia la terapia. Uno psicologo di un’altra agenzia disse: «Lasciare un uomo senza aiuto dopo che ha messo a nudo i suoi problemi più intimi significa condannano alla frustrazione e allo smarrimento”.
Il dottor Whyte, nel suo libro The Organization Man, spiega ai dirigenti come si riesca ad eludere questi test psicologici e in che modo si possa barare.
Talvolta, la valutazione e la terapia dei dirigenti avvengono all’insaputa degli interessati. Non è raro che gli psicologi lavorino sui soggetti durante una partita di golf o con-versando al bar. Una delle maggiori agenzie specializzate in test psicologici fornisce alle aziende dei questionari che permettono di valutare l’intelligenza del soggetto a sua insaputa. In apparenza, sono questionari di ordinaria amministrazione. Il direttore di una agenzia specializzata in test psicologici mi ha rivelato che prima di decidere un importante avanzamento negli alti quadri, molte ditte chiedono il suo intervento per valutare il candidato all’insaputa di questi. Uno dei suoi metodi preferiti è di conversare col soggetto dopo che questi ha bevuto un paio di cocktails: in tal modo si può vagliare la personalità del candidato, allorché le componenti emotive fondamentali emergono alla superficie.
Una tecnica psicologica che ebbe grande fortuna nel mondo industriale e che si propone di modificare il comportamento e gli atteggiamenti degli alti dirigenti è il cosiddetto “psicodramma “, nel quale due o più funzionari recitano, improvvisando, davanti a un pubblico di colleghi.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 225
La moglie
Presso molte aziende, anche la vita privata dei dirigenti è ormai sottoposta a un attento scrutinio, per stabilire se essa sia conforme ai superiori interessi della “squadra “o azienda. Un giornalista del “New York Herald - Tribune “ illustrava in un lungo articolo apparso intorno al 1950 un nuovo tipo di accanitissima caccia all’uomo, condotto da agenzie specializzate nel reclutamento di dirigenti d’azienda qualificati. Dopo aver elencato i principali requisiti di cui i soggetti dovevano essere in possesso, il giornalista aggiungeva: “Un altro punto non meno cruciale è rappresentato dalla moglie. È un aspetto del problema al quale si attribuisce una importanza sempre maggiore. L’ambiente familiare agli occhi dei “caccia tori d’uomini” rappresenta un elemento essenziale per la qualifica di un candidato. Tutte le agenzie del ramo sono concordi su questo punto. Un funzionario di primissimo ordine può essere escluso da un posto di maggior responsabilità perché sua moglie è troppo civetta, o perché è troppo sensibile all’effetto dei cocktails, o perché è una pettegola incorreggibile. Gli accertamenti in proposito vengono condotti con estrema severità”.
Un consulente psicologico, James Bender, mi ha detto di essere stato invitato da un grande cotonificio ad elaborare un piano di selezione del personale basato interamente sulla valutazione delle mogli. Prima di assumere un impiegato o un venditore, la società, come ultima misura precauzionale, lntervista la moglie del candidato. Si tratta, spiegò il mio interlocutore, di una valutazione reciproca. La moglie viene messa al corrente dei vari inconvenienti che il posto può comportare per la famiglia, quali traslochi, prolungate assenze del marito, ecc. In alcuni casi la moglie, dopo l’intervista, aveva convinto il marito a non accettare il posto. «E in alcuni altri casi noi abbiamo deciso — dopo aver vagliato la moglie — di non assumere il marito”.
Alcune società sono inclini a vedere nella moglie una possibile rivale, che contende loro le attenzioni del marito. La rivista «Fortune” dedicò, nell’ottobre 1951, un acuto articolo alla crescente importanza che la figura della moglie ha assunto agli occhi dell’industria. La rivista aveva interrogato un gran numero di dirigenti in tutto il paese; uno di essi aveva riconosciuto tristemente: «Noi abbiamo il controllo sull’ambiente di lavoro di un uomo, ma lo perdiamo completamente non appena egli varca la soglia di casa. La direzione ha perciò l’arduo compito, e il dovere, di indurre nella moglie un atteggiamento favorevole e positivo, che permetta al marito di dedicarsi al lavoro con tutte le sue energie “.
Quali sono i più importanti requisiti di una moglie, dal punto di vista dei datori di lavoro? “Fortune “ proseguiva:
La direzione sa perfettamente che tipo di moglie le occorra. Con una significativa identità di termini, i dirigenti da noi intervistati da un capo all’altro del paese, hanno tracciato questo profilo ideale: la moglie dev’essere 1) molto adattabile, 2) molto socievole, 3) consapevole che suo marito appartiene all’azienda”.
Una inchiesta condotta su 8300 dirigenti d’azienda da Lloyd Warner e James Abegglen, pubblicata sulla “Harvard Business Review “, definisce in termini ancora più specifici le esigenze dei datori di lavoro. Oggi, la moglie di un dirigente americano «non deve pretendere per sé una percentuale troppo alta del tempo o dell’attenzione del marito. Poiché questi è interamente assorbito dal lavoro, perfino la sua attività sessuale è relegata in una posizione secondaria”.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 227
Il nuovo assunto ideale
S’intende che diventare un buon giocatore di squadra ha pure degli inconvenienti. Nel luglio 1954, una rivista diffusa quasi esclusivamente tra gli uomini d’affari, «Changing Times “, dava uno sguardo al “mondo di domani”. Per domani intendeva dieci anni più tardi, ossia il 1964. Secondo le sue previsioni, il grande capitale, la grande burocrazia e le grandi organizzazioni sindacali avrebbero via via livellato la gente a un denominatore comune, dove sarebbe stato assai più difficile per un uomo «essere indipendente, individualista, padrone di se stesso”. Una ristretta casta di scienziati, tecnici e uomini d’affari avrebbe praticamente diretto ogni attività commerciale e industriale. La rivista spiegava: «Questi eletti a loro volta, saranno dotati di una più alta specializzazione tecnica e meno portati all’individualismo, selezionati a seconda della loro idoneità al lavoro collettivo... Tutti, praticamente, dovranno sottoporsi a una minuziosa inchiesta psicologica e psicotecnica. Non si permetterà più che il tradizionale scienziato con la barba si trastulli privatamente con i suoi alambicchi nei recessi del laboratorio...”
Forse, il giorno in cui l’individualista non avrebbe più saputo dove nascondersi, non era così lontano come «Changing Times” sembrava ritenere. Nel 1956, la rivista «Newsweek “ pubblicò, alla fine dell’anno accademico, i risultati di una inchiesta condotta tra i “cacciatori d’uomini “ per stabilire verso qual genere di neolaureati si orientassero le loro preferenze (con speciale riferimento alla personalità). Tra i requisiti ritenuti indispensabili da questi «ufficiali di reclutamento” dell’industria, l’espressione «conformismo dinamico” figurava nelle prime posizioni. «I segugi dell’industria, — spiegava la relazione, — non vogliono né i topi di biblioteca né i fuoriclasse. «Meglio un ragioniere di un filosofo, — dicono. — I geni è meglio che si dedichino alla ricerca pura “.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 228
Bernays difende il diritto di indirizzare il pubblico scrivendo: “L’ideale sarebbe, naturalmente, che ciascuno di noi prendesse le proprie decisioni in piena libertà, dopo aver vagliato obiettivamente tutti i dati. Una cosa simile non è, tuttavia, possibile”. In un successivo saggio del volume, un altro autore ritorna su questo argomento a proposito di Vilfredo Pareto e della sua teoria sui fattori non-logici nelle attività umane; e cita il commento di Richard Worthington alla Sociologia Generale di Pareto:
Vi sono [in questo libro] talune idee e scoperte che possono.., essere di molto aiuto.., a quanti vogliano trasformare la società... Molti uomini.., hanno tentato di modificare la condotta del prossimo col ragionamento, o promulgando delle leggi. I loro sforzi si sono spesso dimostrati singolarmente infruttuosi... Pareto mostra come il loro fallimento sia connesso con i fattori non-logici... Per controllare gli uomini occorre manipolare i loro [istinti e le loro emozioni] e non già tentar di correggere il loro modo di ragionare. È questo un fatto ben noto a molti uomini politici, che sogliono persuadere i loro elettori facendo leva sui loro sentimenti più. che ricorrendo [ad argomenti logici], che non sarebbero ascoltati o che, per lo meno, non basterebbero in nessun caso a commuovere le folle”.
Il dottor Bryson,  docente di antropologia sociale, disse ai convenuti: «Se voi siete dei social engineers, tengo ad avvertirvi che è indispensabile una analisi preliminare dei tre livelli in cui, in una società come la nostra, si manifesta l’assenso”.
Il primo, egli disse, è la natura umana; e aggiunse che qui ben poco si poteva fare per «manipolare” la gente.
 Il secondo livello è quello culturale, dove si formano, e si modificano, le idee del pubblico.
 Il terzo livello è la zona in cui l’individuo opera le sue scelte le quali sono spesso determinate da impulsi che non hanno alcun fondamento razionale.
A questo livello, «è relativamente facile manipolare gli uomini”. Se, invece, intendete modificare le loro idee, «dovete operare sui secondo livello”, ricorrendo «a pressioni psicologiche, a tecniche e a ritrovati del tutto diversi da quelli impiegati per il terzo livello”.
Sempre nel 1953, la stessa rivista dedicò due lunghi articoli a un congresso nel quale erano stati esaminati “gli stretti legami che apparentano le public-relations alle scienze sociali”. Le due relazioni venivano presentate dalla rivista nei seguenti termini: «Le scienze sociali hanno trovato la soluzione — e ora non ci resta che impadronircene — a molti dei problemi coi quali stiamo da tempo lottando senza successo”.
Due eminenti studiosi, il dottor Rensis Likert, direttore dell’Istituto degli Studi Sociali dell’Università del Michigan, e il dottor Samuel Stouffer, direttore del Laboratorio di Relazioni Sociali dell’Università di Harvard, si incaricarono di insegnare agli interessati il modo di “impadronirsi “ di queste soluzioni. Stouffer esordì affermando che era per lui un grande onore parlare a un pubblico di «professionisti delle human relations “, e prosegui enunciando un postulato fondamentale: il comportamento degli uomini si controlla più facilmente attraverso le loro emozioni che attraverso il loro intelletto.
Aggiunse che al laboratorio di Harvard «erano in corso studi particolareggiati sul problema della paura in relazione alla teoria dell’apprendimento”. E promise che negli anni avvenire gli esperti di PR avrebbero trovato nel materiale raccolto «preziose indicazioni pratiche”. Il dottor Likert intrattenne invece i convenuti sui moventi, e sul modo di influenzare il comportamento del pubblico «ritoccando le forze motivazionali che operano sugli individui”.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 233
Le donazioni
La regia del consenso si è diffusa in maniera sorprendente in un campo che potrà, a prima vista, sembrare strano: quello delle sottoscrizioni. Gli americani hanno fama di essere il popolo più generoso del mondo. Verso la metà di questo secolo, la filantropia, come “volume d’affari”, occupava ormai il quarto posto tra le grandi industrie nazionali. Tuttavia, per quanto riguarda la filantropia su vasta scala, la generosità non aveva più nulla di spontaneo.
Per raccogliere fondi su un piano di massa, occorrevano persuasori di massa. Nel 1956 c’erano già, in tutto il paese, oltre quattrocento agenzie specializzate nella raccolta di fondi, e la maggior parte di esse era più o meno iniziata ai




«Business Week” consigliava ai.. suoi lettori (in massima parte uomini d’affari) di non trattare dall’alto in basso i collettori di professione che bussavano alla loro porta. Costoro, affermava la rivista, non sono necessariamente dei «visionari o dei sognatori”. Anzi, aggiungeva, «potrete constatare che molti di essi hanno uno spiccato senso degli affari”.
Dal canto loro, questi specialisti si vantano di poter raccogliere per una data causa somme immensamente superiori a quelle che i loro clienti devono sborsare per assicurarsi la loro collaborazione. E hanno probabilmente ragione. Il più famoso di essi, John Price Jones, scrisse nel già citato The Engineering of Consent (uno dei saggi della raccolta e opera sua) che l’arte di raccogliere fondi rappresenta una delle forme più avanzate di public-relations. “È più difficile persuadere un uomo a donare un dollaro che a spendere un dollaro”, egli afferma.
Secondo Jones, neppure l’entusiasmo è sufficiente a fare un buon collettore, se non lo si «canalizza in un sistema organizzato”. Tuttavia, mentre gli «entusiasti” vanno da porta a porta, gli «organizzatori” che spesso i membri della comunità non vedono di buon occhio, se ne stanno dietro le quinte limitandosi a dirigere l’offensiva.
Se siete, potenzialmente, un grosso sottoscrittore, il collettore di professione è meglio informato sul vostro conto di quanto non siano i vostri più intimi amici. Come spiegava Jerome Beatty, illustrando le attività del signor Jones su «The American Magazine”:
«Lo stratega delle sottoscrizioni spiegherà ai suoi uomini quali siano le vostre debolezze, i punti di minor resistenza. Negli schedari di John Price Jones si trovano elencati oltre 66 mila nomi di persone residenti in tutti gli Stati Uniti, le quali hanno versato grosse somme di denaro per nobili cause e che, si presume, tornerebbero a versarne se debitamente stimolate. Gli schedari sono continuamente aggiornati da sei segretarie, che hanno il compito di leggere e ritagliare da giornali, riviste, bollettini aziendali, relazioni di bilancio ecc., tutte le informazioni pertinenti. Per ogni persona esiste una scheda non meno completa di quelle che l’FBI riserva alle persone sospettate di essere comuniste”.
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi, pag. 237




Persuasori occulti
Persuasori occulti

redazione ECplanet
B.J.Fogg, psicologo sperimentale e direttore del Persuasive Technology Lab presso l'Università di Stanford, con un il libro intitolato “Tecnologia della persuasione”, in uscita a uscirà a maggio per Apogeo, denuncia la forza persuasiva di Internet e dei videogame.

Studioso da 12 anni di “captologia” (gioco di parole che contiene l'acronimo di Computers as Persuasive Technologies), termine da lui coniato per indicare lo studio di come i computer, i siti Web, ma anche i cellulari e i videogiochi possono essere progettati per controllare e influenzare i nostri comportamenti e le nostre credenze, Fogg ha delineato per primo un modello di manipolazione delle idee e delle menti che trova nella Rete il mezzo più rapido ed efficace per raggiungere le persone di tutto il mondo.

L'influenza dei computer e delle tecnologie può risultare positivo, come quando la Rete promuove uno stile di vita più sano o lo spirito di tolleranza. Ma può essere anche nocivo come nel caso di certi videogiochi che abituano le persone alla violenza. Fogg ha individuato ben 43 modi con cui un computer può persuaderci tra cui: la bambola computerizzata “Baby Think It Over” che ha ridotto la percentuale delle mamme adolescenti, il bisogno indotto di aggiornare continuamente il software, un recente videogioco distribuito dall'esercito americano che ha avuto l'effetto di aumentare il reclutamento di nuovi soldati.

Fogg afferma che l'idea della Rete come una grande enciclopedia è un'illusione, il Web è piuttosto un luogo nel quale la gente cerca di venderti idee e progetti. Ancor più problematico il caso dei videogiochi, diffusi in tutto il mondo, chiamati “training games” che promuovono una certa visione del mondo e certi modelli di comportamento e che riflettono un'epoca che usa le macchine per modellare i pensieri ed i comportamenti delle persone.

Per contrastare la persuasione occulta hi-tech, Fogg ha creato un sistema Internet alternativo che fa incontrare i ragazzi di diverse nazionalità, nella convinzione che solo l'educazione delle persone e non certamente i divieti e gli obblighi possano limitare il fenomeno. Questa notizia è stata pubblicata dal periodico “noemalab.org”.


La pubblicità subliminaleDi Ruben Ratti - tratto dal libro "Occulta sarà tua sorella"ORDINA IL LIBRO
Ho visto cose che vuoi umani non
potreste neanche immaginare
Rutger Hauer
La pubblicità subliminale è stata fra le protagoniste del secolo scorso in tema di comunicazione, essendo riuscita ad attirare su di sé l'attenzione del mondo scientifico, culturale e politico, ma soprattutto l'interesse attivo delle grandi masse, dell'opinione pubblica, prendendo spesso la forma della leggenda metropolitana. La sua storia si intreccia a doppio filo con quella del cinema, quello americano in particolare, che ha contribuito parecchio ad alimentare il dibattito sulla tecnica, e ancora oggi il fantasma del subliminale aleggia intorno al cinema inteso sia come industria sia come arte.
Vicary-Packard-Key: il triangolo della persuasione
Potevamo stupirvi con effetti speciali
e colori ultravivaci...
PUBBLICITA DELLA PHILIPS
L’evento che portò alla ribalta l'argomento della pubblicità subliminale è ormai molto noto. Nel 1957 James Vicary, uno studioso di marketing, durante la proiezione del film Picnic (Joshua Logan, Usa, 1955) mandò sullo schermo tramite un apposito strumento, le scritte «bevete Coca-Cola» e «mangiate pop corn». Il tempo di proiezione, 1/3000 di secondo, risultava così breve da rendere impossibile la visione agli spettatori. Alla fine del film si scopri che vi era stato un consumo medio di Coca-Cola e pop corn statisticamente superiore alla media (rispettivamente del 18% e 57%), dal che se ne dedusse che il comportamento d'acquisto era stato condizionato da quel messaggio non visto. L’ulteriore deduzione che seguiva era incredibile: si prospettava l'ipotesi di poter influenzare i consumi di una persona semplicemente proponendole dei messaggi di cui essa stessa rimaneva ignara. Quando i risultati di questo esperimento divennero di dominio pubblico si accese immediatamente in America un forte dibattito etico sulla tecnica.
La questione attirò l'interesse del mondo industriale perché, come disse Vicary:
Il miraggio che questa forma persuasiva potesse incrementare il fatturato delle aziende fece trovare finanziatori interessati ad approfondire il tema, tanto che nacquero le prime agenzie specializzate in pubblicità subliminale.
A livello governativo, invece, le massime autorità istituzionali in materia di pubblicità, come la Federal Communication Commission e la Federal Trade Communication, si schierarono subito contro il subliminale, in modo preventivo e senza alcuna prova scientifica della sua presunta pericolosità, richiamando i pubblicitari e tutto il settore della comunicazione all'etica e alla correttezza professionali. Le prime dichiarazioni della Fcc, infatti, risalgono già al 1958, anno successivo all'esperimento, a riprova dell'allarme creato. Nella scienza ufficiale, dove già si conosceva il subliminale (inteso come «percezione subliminale»), e nelle ricerche di marketing si vivacizzò invece il dibattito accademico, interrogato direttamente dall'opinione pubblica sull'efficacia di questo tipo di tecnica.
Vicary si rivelò un vero apprendista stregone, perché anche quando cercò di ridimensionare l'importanza dei suoi risultati, che non furono mai replicati nemmeno da lui stesso, la dichiarazione della sua scoperta fu come una formula magica capace di far muovere tutto un mondo di curiosità, interessi, divieti e attenzioni che non riuscì a fermare nemmeno la più radicale delle sue affermazioni: «L’esperimento era stato tutta una montatura [ ... ] allo scopo di allargare la clientela della mia ditta di marketing che attraversava un momento di difficoltà» (siamo nel 1962 ... ).
Da quel momento iniziarono a fiorire ritrovamenti di inserimenti subliminali, non più solo nel cinema, ma anche nella musica, alla Tv, alla radio, negli spot pubblicitari di ogni genere, cioè in tutti quei messaggi che quotidianamente arrivavano a milioni di persone. Si cominciò anche a sperimentare questa tecnica su larghe masse, con esperimenti fatti alla radio e alla Tv, episodi che aumentarono la notorietà di Vicary e spinsero l'opinione pubblica a prendere posizione sull'argomento. Questa pratica associava una frenesia e un timore nascosto che solo successivamente potranno essere chiaramente compresi: la pubblicità subliminale si rivelò un tema capace di attirare una curiosità morbosa, perturbata da fantasmi che gonfiavano l'importanza della sua presunta influenza. Le numerose prove scientifiche provenienti da più discipline, che mettevano plausibilmente in serio dubbio la sua efficacia e addirittura il suo oggettivo funzionamento, non riuscivano ad arginare la propagazione delle credenze intorno ad essa, arrivando invece a creare una teoria irrazionale dell'evento, montata su «prove» la cui validità era tutta da verificare. Più ne parlavano giornali e media, più sembrava accrescersi la convinzione della sua efficacia. Nel 1958 Richard Lessler (vicepresidente della Grey Advertising Agency) consigliò ai suoi clienti, in un messaggio televisivo, l'uso della pubblicità subliminale, proponendola come una buona integrazione tra lo spettacolo e il messaggio commerciale.
Anche il cinema, grande protagonista della scena sociale di quegli anni, colse al balzo l'occasione di questo morboso interesse del pubblico, facendone un nuovo soggetto da sceneggiare, da romanzare, compiacendosi indirettamente di alimentare i fantasmi più turpi sull'efficacia della persuasione subliminale. Fantasmi che oggi ritroviamo, come idea più o meno strutturata in opinioni e credenze, anche nelle nostre ricerche sul cinema e sulla pubblicità in genere. Scrive Pratkanis:
Da un sondaggio effettuato attorno al 1970 negli Usa emerse che l'8 1 % di coloro che avevano risposto e che avevano sentito parlare della pubblicità subliminale la riteneva una pratica corrente e che oltre il 68% riteneva che essa riuscisse a vendere i prodotti. Fatto più sorprendente, le indagini dimostrano che molti vengono a conoscenza degli influssi subliminali attraverso i mass media e i corsi di scuole medie e college, ulteriore indicazione della necessità di un'educazione scientifica nelle scuole americane.'
Ma ancora, nel 1982, il «Journal of Marketing» riportò un articolo in cui veniva definita come «la più allarmante e oltraggiosa arma inventata dopo la mitragliatrice», il «Globe Mail» ripropose il problema della possibilità che fosse usata senza scrupoli per scopi politici, e il «New Yorker» affermò che con il subliminale la mente della persone potesse essere «rotta e invasa» (vedremo fra poco l'insidiosità di un linguaggio simile). Gli stessi studi scientifici non si arrestarono, anche se subirono delle radicali trasformazioni rispetto al subliminale proposto da Vicary.
Un altro fattore a favore della diffusione di questo «mito» fu che proprio in quegli anni, negli Stati Uniti, stava emergendo una particolare lettura della società consumistica ben rappresentata nei contenuti del libro di Vance Packard, “I persuasori occulti”. Se la sua impostazione scientifica era quella della ricerca motivazionale, che nasceva proprio in quel periodo, leggendo il suo testo si ha la sensazione di essere messi costantemente in guardia dai pubblicitari, presentati come totalmente schierati a favore dei produttori, che a loro volta considerano i consumatori solo come polli da spennare senza pietà, ingannandoli in tutti i modi pur di rifilare loro il proprio prodotto: pur di vendere.
Nel libro domina un senso di spiazzamento costante del lettore/consumatore, spaventato dalla trama diabolica del supermercato, come quando Packard cita il nome di Vicary e la sua ipotesi dell'«ipnosi da supermercato». Vi è un criptico piacere nel presentare il prodotto come una trappola cognitiva e affettiva, il gusto dello smacco e dello scacco ai danni del consumatore perpetrato dalla pubblicità, tanto che a volte il libro sembra il manuale di un mago in vena di svelare i suoi trucchi.
Analizzando il linguaggio usato da Packard si nota come faccia ampio uso del registro psicoanalitico e di questa teoria consideri proprio il più fondante ma sibillino dei suoi concetti: l'inconscio. Il ricorso a questo linguaggio, usato al di fuori di un setting terapeutico psicoanalitico, predispone a un uso manipolatorio del senso della frase, anche se la lettura mantiene una forte impressione di plausibilità argomentativa, frutto più delle qualità intrinseche del linguaggio psicoanalitico che delle argomentazione addotte. E proprio il ricorso a questo registro, se non proprio alla teoria in generale, tra il 1960 e il 1970 era in piena affermazione: inizia il tempo in cui si afferma «quella psicoanalisi da salotto» che farà tanto male agli psicanalisti seri e alla materia in generale, ma che in compenso darà luogo alle brillanti interpretazioni di Woody Allen. Un esempio, parallelo a Packard, è un libro di Cousin dal titolo emblematico Imbrattare l'inconscio (1957), dove la pubblicità subliminale viene presentata in questo tono: «[una tecnica capace di] penetrare le parti più profonde e intime della mente umana per lasciarvi ogni sorta di graffi». Questo linguaggio è fortemente induttivo di associazioni che fanno sentire esposti e indifesi, come sottolinea la metafora della violenza carnale («penetrare le parti [ ... ] intime»), ma ancor peggio è la seconda frase («graffiare la mente») perché induce a pensare alla mente come a una specie di tavola di gesso su cui si incide un graffio indelebile (il messaggio subliminale) che segnerà per sempre la coscienza. E’ come se il subliminale fosse paragonabile a un grave trauma infantile o a traumi post-torture, tanto per citare due eventi che «lasciano il segno». E su questa strada si scende verso generalizzazioni indebite e facilone, del tipo: «Se è possibile vendere più pop corn usando questa tecnica, perché non lo si può fare anche per spingere l'approvazione dell'uso di testate nucleari?».
Il subliminale, quel «qualcosa che non si percepisce bene», sarebbe andato a sostituire i decenni di studi sulla comunicazione persuasiva, che si arrovellava su come far cambiare opinione alla gente, ignorando gli aspetti principali che questi studi avevano già individuato: le caratteristiche della fonte (l'aspetto fisico, l'importanza percepita, la credibilità, ecc.), la struttura del messaggio (la coerenza argomentativa, la logicità interna ed esterna, ecc.), il medium utilizzato (il gruppo, la televisione, la radio, ecc.).
Ma sarà ancora la strada dell'inconscio che verrà battuta, qualche anno più tardi (1970), da un altro celebre protagonista della saga del subliminale: il professor
Wilson Bryan Key, un ricercatore di marketing che diventerà famoso per le scoperte sulle «figure subliminali», nascoste nelle normali immagini pubblicitarie, che avrebbero la proprietà di sedurre lo spettatore. Anche questa proposta di Key e i suoi libri ebbero molto successo, trovando nel grande pubblico entusiasti sostenitori disposti a credervi, nonostante i risultati sperimentali successivi non concordassero con le sue ipotesi.
Il successo «di pubblico» di questa tecnica fu enorme e quasi inversamente proporzionale alle prove scientifiche della sua efficacia, ancora oggi rileviamo nelle nostre ricerche sul cinema (e sul product placement) residui di alcuni fantasmi di allora. Cercando le cause di questo successo, la letteratura pare ormai concordare su alcune spiegazioni.
La prima è contenuta nel discorso fatto finora sui mass media. Giornali, Tv, cinema, radio fecero da cassa di risonanza al fenomeno subliminale: quando un argomento stuzzica e incuriosisce, infatti, questo si propaga da solo, come se il sassolino lanciato quasi sbadatamente da Vicary, scendendo a valle, avesse provocato una valanga.
Vi è una seconda spiegazione, di tipo psicologico, su cui concorda la letteratura: la strana facilità che ebbe il tema del subliminale ad attecchire nell'opinione pubblica, grazie al clima sociale che si respirava in quel tempo. Si era all'inizio di una stagione sociopolitica particolare, in cui si stava sviluppando il timore che un pugno di uomini di potere potesse usare questi mezzi per condizionare la popolazione, piegandola ai proprio scopi. Nel 1958 William Dawson, un rappresentante del Congresso, guidò una battaglia contro il subliminale affermando che potesse «essere usato per scopi politici»'. Si temeva uno scenario orwelliano di un'umanità annichilita e impotente di fronte a chi detiene gli strumenti della propaganda: un mondo di zombi al servizio di un qualsiasi big brother fu evocato con particolare insistenza nei confronti della pubblicità subliminale.
Non era infrequente vedere rappresentati i piani alti del potere politico come una cricca di burattinai interessati solo che le persone facessero i movimenti da loro voluti, nullificando il libero arbitrio del singolo cittadino in favore dei propri interessi personali. Questo comportamento di massa, conosciuto alla psicologia e ben descritto dalla cosiddetta «teoria della cospirazione», consiste nella tendenza a imbastire trame spesse e complicate intorno ad argomenti che abbiano certe caratteristiche, come il non essere supportati da prove certe, non essere «falsificabili». Questi eventi sono gli omicidi politici, come quello del presidente Kennedy (1963), trame politiche come quelle del Watergate (1973) o del nostrano «caso Ustica» (1980), le vicende delle sette (come i suicidi di massa), l'operato delle agenzie di spionaggio (come il caso MkUltra della Cia). Su questa interpretazione, tramite la teoria della cospirazione, converge gran parte della letteratura.
Ma accanto a queste due spiegazioni ve ne è un'altra che è pari per importanza e che emerge adottando uno sguardo che contestualizzi il periodo storico. Ciò di cui ci si sta occupando accadeva negli anni in cui era in pieno processo di formazione la «società dei consumi», che si sviluppava su una base di fondamentale ottimismo fondato sulla fioritura economica e che scopriva lentamente e «in tempo reale» sia i suoi pregi sia i suoi difetti. Il raggiungimento del benessere aveva fatto emergere nuovi problemi (inquinamento, nuovi conflitti sociali, ecc.), dando luogo a un'analisi critica del mondo economico in cui la pubblicità, e quindi il subliminale, svolgevano un ruolo chiave. La nascita del movimento artistico della Pop Art, che trovava la sua ragion d'essere proprio in relazione alla società dei consumi, è la prova di questa elevata sensibilità. La Pop Art promosse un'autoriflessione sociale grazie ad artisti come Warhol, Oldenburg, Segal…
(…)
Fa’ ciò che ti dico!




La persuasione si presenta
di Angelo Palazzolo


La parola “persuasione” è la nominalizzazione del predicato “persuadere”. Non è un’etichetta applicabile costantemente e in maniera automatica.


Vi è una relazione strettissima tra comunicazione e persuasione: il fine principale della comunicazione è perlocutorio, pragmatico[1]. Si comunica sempre con una finalità. Finalità che non è raggiungibile senza la collaborazione dell’interlocutore o degli astanti in generale. La comunicazione non è dunque tutta intrisa di persuasione?






Richard Bandler






John Grinder
Ci siamo convinti (perlopiù lo hanno fatto gli psicoterapeuti, oh!oh!) che l’ipnosi non è quella stregoneria che dà potere di vita e di morte all’ipnotista, che l’ipnotizzato (sia pur in uno stato profondissimo di trance) agisce secondo ragione e non farebbe mai qualcosa contraria ai suoi principi coscienti.


Ipnosi e Trasformazione[2], è un libro in cui si spiega molto bene cos’è l’ipnosi e come per centinaia di anni la gente comune abbia equivocato il suo significato attribuendo a questa pratica effetti magici e spettacolari. Effetti e capacità che l’ipnosi non ha. Ecco cos’è l’ipnosi: una “alterazione dello stato di coscienza”[3] in cui la corrispondenza tra la propria coscienza e le coordinate spazio-temporali esterne si sfuma e addirittura sparisce. Entrare in uno stato di trance ipnotica non rappresenta un fenomeno rarissimo o paranormale. In effetti, si entra in questo stato più volte al giorno: quando si guida per lunghi tratti, quando si sogna ad occhi aperti o quando si assiste ad una lezione noiosa tanto che gli sguardi degli alunni guardano oltre la lavagna per perdersi in paradisi tropicali, ascoltarne suoni e rumori, o avvertirne sensazioni costruite dalla fervida immaginazione giovanile …a chi non è successo?


Ho introdotto l’ipnosi per continuare a parlare di persuasione.


I persuasori occulti[4], il libro esplosivo di Vance Packard, uscì alla fine degli anni ’50 per mettere in guardia qualcuno da qualcun’altro.


Da una parte il popolo (considerato massa informe plasmabile), dall’altra i persuasori, o peggio, i manipolatori (dei veri e propri demiurghi della mente, persone con un Q.I. altissimo? in grado di modellare pensieri e guidare comportamenti).


Cosa è cambiato mezzo secolo dopo?


Vance Packard


È uscito un libro di Robert Cialdini, Le armi della persuasione[5], nel quale il bravissimo psicologo sociale spiega come funzionano alcuni nostri meccanismi mentali e come si entra dentro questi ingranaggi per manometterne il funzionamento. No, in realtà non è così, non si manomette nulla, si utilizzano delle leve automatiche, e quindi inconscie, per guidare verso un determinato comportamento.


È giusto? È etico? Lo vedremo dopo.








Robert Cialdini
Ora riflettiamo su questo: “il rapporto fra informazioni possibili e capacità di elaborazione mentale è divenuto quasi impossibile”[6]. Il mondo oggi si presenta così pieno di messaggi ed informazioni che l’uomo ha dovuto prendere contromisure drastiche, si è dovuto affidare a dei navigatori interni che lo conducessero fuori dalla confusione mediatica, fuori dall’enormità di dati da analizzare, classificare, ponderare. Ci si affida sempre più a quelle che Robert Cialdini chiama euristiche mentali, ossia delle scorciatoie che la nostra mente utilizza per agire in maniera rapida e funzionale in comprensione utile alla sopravvivenza.


La nostra società è un inno alla velocità. È una Società ad Alta Velocità, guai a fermarla: si rimarrebbe indietro, si scenderebbe in serie B.


E noi non vogliamo questo, quindi… riflettiamo di meno e agiamo di più?


Ed ecco fatta la fortuna di questi fantomatici persuasori.


Poi, chi sono mai questi persuasori occulti? I pubblicitari? I venditori? I politici? Non è forse tale un ragazzo che cerca di abbordare una ragazza? E una madre che vuole fare mangiare le verdure al figlioletto?


E poi, abbiamo concordato che la persuasione è un fenomeno che riguarda attivamente e passivamente tutti noi, oltre ad essere un elemento ineliminabile del processo comunicativo.


Eppure, c’è qualcosa che non quadra, percepiamo qualcosa di sbagliato.


Bisogna trovare un metro di giudizio che condanni la persuasione malvagia.


Perché la percepiamo tutti come esistente. ...o no?


Chi come me ascolta un dibattito politico a “cuor leggero” senza avere posizioni definite e dogmatiche e senza avere una forte cognizione del passato socio-economico-politico italiano, fa come una bandiera al vento, si lascia trascinare da una tesi e dalla sua antitesi, da un discorso e dal suo opposto.


Se a parlare sono due oratori capaci, il dibattito elettorale si trasforma in uno scambio dialettico bellissimo ed infinito, in cui tutto è parola, tutto è forma. I contenuti cadono con una battuta, una metafora, un aneddoto. Tutto diventa interpretazione.


La campagna elettorale delle elezioni politiche 2006 ne è un esempio folgorante, illuminante, straziante. Le frasi, i dati, i numeri, le cifre, i sondaggi, tutto è interpretazione.


L’ermeneutica sofistica dei nostri politici è la vera vincitrice delle politiche 2006.


Ma tornando alla vita di tutti i giorni e alla nostra querelle: "possiamo dare un valore etico alla persuasione?"


Troviamo un metro che ci permetta di sentenziare sulla giustezza o no di una persuasione.


Forse potremmo focalizzarci sul mezzo utilizzato dal persuasore. Definendo alcuni mezzi scorretti ed altri no. Ad esempio, se si sfruttano i meccanismi di risposta automatica di cui parla Cialdini[7] per raggiungere i propri scopi, si agisce in modo deplorevole.


O forse ci si può concentrare sul risultato finale dell’interazione tra persuasore e persuaso: se, a distanza di tempo, quest’ultimo è soddisfatto delle decisioni prese di concerto con il persuasore, allora vuol dire che non c’è stata una persuasione ingannevole, poiché la sua volontà è stata rispettata.


…o è cambiata definitivamente?


Beh, se anche così fosse, non siamo tutti in continuo divenire?


Se la percezione di un’azione (comprare, vendere, votare, baciare) viene co-costruita da due soggetti in modo tale che entrambi ricevano soddisfazione da questa, penso si possa dire che non c’è stato un sopruso.


Dove sta il crimine se uno dei due ha proposto l’azione e ha trovato le giuste maniere di far vedere e percepire all’altro i vantaggi di quell’azione?


"I fatti sono stupidi solo le loro interpretazioni sono intelligenti" (F. Nietzsche).


Angelo Palazzolo


aprile 2006




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[1] Si vedano il metalogo “perché i francesi..” in Bateson, G., 1972, Verso un’ecologia della mente, tr. it. Adelphi, Milano, 1976 e Beavin, H., Jackson, D. D., Watzlawick, P., 1967, La pragmatica della comunicazione umana, tr. it. Astrolabio, 1971.


[2] Bandler, R.,Grinder J., 1981, Ipnosi e Trasformazione. La Programmazione Neurolinguistica e la struttura dell’ipnosi, tr. it. Astrolabio, 1983.


[3] Cit. p. 7 Richard Bandler, John Grinder, 1981, Ipnosi e Trasformazione. La Programmazione Neurolinguistica e la struttura dell’ipnosi, tr. It. Astrolabio, 1983.


[4] Packard Vance, I persuasori occulti, 1958, Einaudi


[5] Cialdini, R. B., 1984, Le armi della persuasione, tr. it. Giunti, Firenze, 1989.


[6] Assunto Quadrio - Università Cattolica di Milano in www.xenu.freewinds.cx


[7] Coerenza, reciprocità, conferma sociale, autorità, simpatia e scarsità. Le armi della persuasione op. cit.






Angelo Palazzolo si è laureato nel 2005 in Scienze delle Comunicazioni (Università di Perugia), con una tesi su "La Programmazione Neurolinguistica in contesti professionali: punti di forza e punti di debolezza". Ha svolto numerose attività con l'I.C.S. (International Civil Service), in Irlanda, Scozia, Belgio, Stati Uniti. Ha partecipato al Progetto Erasmus a Madrid, nel 2004 e attualmente è tirocinante presso il Consolato italiano di La Plata (Argentina).
Contatto: angelopalazzolo@hotmail.com




Le Armi della Persuasione


Come e perché si finisce per dire sempre di sì.
Di Robert B. Cialdini


Giunti - Saggi, 1999. Pagg. 228, ISBN 88-09-20567-7, L. 22.000.


Presentazione
Introduzione
Presentazione


(A cura del Prof. Assunto Quadrio - Università Cattolica di Milano)


È capitato anche a me come, credo, a molti altri colleghi che si occupano di psicologia sociale di essere interpellato ogni tanto per qualche conferenza in tema di "comunicazione persuasiva" oppure di essere richiesto come consulente per qualche campagna pubblicitaria o propagandistica di tipo commerciale o politico. Ogni volta che mi sono state rivolte delle richieste di questo genere non ho potuto evitare una certa ambivalenza ed un certo disagio. Da un lato, infatti, riconosco di aver provato un certo compiacimento per essere ritenuto appartenente alla categoria di coloro che conoscono ed usano le "armi della persuasione"; dall'altra mi sono sentito colpevole, vuoi di presunzione vuoi, al contrario, di truffa ai danni delle persone da persuadere.


Ogni volta, poi, che, a posteriori, mi sono stati illustrati i risultati efficaci di qualche azione o campagna persuasiva, mi sono trovato nuovamente a disagio ed ho cercato in ogni modo di trovare una spiegazione "eccezionale" del fenomeno di influenzamento perché, in sostanza, mi disturba dover constatare che, negli anni 2000, l'umanità così esperta e tecnologicamente progredita continui a manifestare tanta ingenuità e tante debolezze.


Probabilmente l'illusione razionale che mi porto dietro sin dai tempi del liceo ha resistito bene a tutta la psicologia che ho studiato e praticato; ha esorcizzato tutte le diavolerie regressive di cui parla la psicologia sociale o clinica: conformità, imitazione, suggestione, identificazione, plagio e via dicendo. Così io continuo a pensare che millenni di storia, di filosofia, di cultura non siano passati invano e che l'umanità debba pure decidersi a mostrare che ha imparato a riconoscere quei meccanismi che ha visto tante volte rappresentati in tragedie o commedie. Non può essere quindi che l'ignoranza e la dipendenza ipocritica siano tanto ampiamente diffuse come ci raccontano gli psicologi o i persuasori occulti: la suggestionabilità non può essere che un fenomeno di minoranza che avrà vita breve.


Partendo da queste premesse è comprensibile come io non simpatizzi né con i persuasori e neppure con i persuasi che mi appaiono, in qualche modo, colpevoli anch'essi; e come io continui a sperare che almeno i nostri posteri siano un po' meno eterodiretti e riescano a liberarsi di tutti quei manipolatori del consenso che sfruttano le loro debolezze ed il loro narcisismo.


Ho scritto questa premessa "personalizzata" per poter confessare che ho affrontato la lettura del volume di Cialdini con molti pregiudizi pensando di trovarlo divertente ma con qualche pecca di superficialità. Invece ho dovuto ricredermi: il volume è davvero divertente e per niente superficiale. È chiaro, non saccente né cinico ma ampiamente documentato su quel che dice, con un continuo riferimento ad esperienze di laboratorio o sul campo.


Cialdini illustra gli abissi dell'umana persuadibilità, ma lo fa in modo che l'umanità stessa non ne esca priva di dignità. L'ambizione del volume è dichiarata esplicitamente dall'autore: dimostrare che le varie tecniche di "acquiescenza" (come egli le chiama) sono riconducibili a sei diverse categorie, ognuna delle quali corrisponde ad un principio psicologico di base, un fattore che «...orienta e dirige il comportamento umano e pertanto dà alle tattiche usate il loro potere».


I sei principi che compongono questa sorta di sistema persuasorio sono elementi ben conosciuti dell'universo psicosociale: la coerenza-impegno, la reciprocità, la riprova sociale (o imitazione), l'autorità, la simpatia, la scarsità (o timore di restare privi di qualcosa). Ciascuno di questi principi, nelle sue molteplici incarnazioni teoriche e pratiche, rappresenta un fattore motivazionale molto importante, un elemento portante del comportamento individuale e sociale in ogni sfera della convivenza e dell'azione, un dato, quindi, di abitudine, consueto e rassicurante. Non meraviglia dunque che noi siamo sempre pronti ad accettare esempi o argomentazioni, situazioni anche nuove che si riferiscano ad uno di tali fattori.


Se un persuasore fa appello alla mia coerenza non mi trascina affatto su un terreno nuovo e quindi ansiogeno; al contrario, egli mi dà l'illusione di combattere sul mio terreno abituale, di mantenere o ricostituire un equilibrio consueto. Basta che egli inserisca la sua argomentazione con un minimo di abilità per trovarmi disponibile a pensare od agire come egli vuole. Lo stesso accade per ogni altro fattore; pensiamo al meccanismo della reciprocità: è talmente abituale e diffuso che non ho difficoltà a lasciarmi guidare da esso. Anzi, è la sua mancanza a pormi in crisi, ad indebolire le mie difese e le mie diffidenze ed è proprio su questo che il persuasore fa leva.


Il sistema proposto da Cialdini è scientificamente attendibile. Ma lo stesso autore ci pone in guardia contro di esso proprio sottolineandone l'attendibilità. La sua argomentazione, che chiude il volume in un ultimo capitolo critico, parte da premesse che la psicologia cognitiva ci ha abituato a considerare: l'uomo è un risparmiatore di energie cognitive, un abile scopritore di euristiche e altre scorciatoie di ragionamento; sa trarre conclusioni da un minimo di informazioni e compiere sintesi fulminee su pochi dati presenti. Se questo è vero, afferma Cialdini, dobbiamo stare in guardia doppiamente contro i persuasori occulti; probabilmente essi conoscono le nostre abitudini cognitive e soprattutto la necessità ineliminabile di procedere in modo "economico", di cogliere segnali parziali ed incompleti, informazioni sommarie. Può darsi che essi siano tentati di colpirci proprio "lungo le scorciatoie" del pensiero per indurci ad azioni e decisioni sbagliate; quelle scorciatoie a cui non possiamo affatto rinunciare perché ormai il rapporto fra informazioni possibili e capacità di elaborazione mentale è divenuto quasi impossibile.


Occorre quindi un "contrattacco": non indiscriminato, non generalizzato ma limitato a quei persuasori che «falsificano, adulterano o fabbricano di sana pianta quei segnali che naturalmente attivano le nostre risposte automatiche…». Ma vi sono anche coloro che «si comportano lealmente» e possono essere considerati «alleati in un proficuo gioco di scambio…». Sono quegli informatori sociali che lavorano su dati reali e che quindi svolgono un proficuo ruolo di guida ed orientamento del comportamento altrui


Introduzione


Ormai posso ammetterlo tranquillamente. Per tutta la vita sono stato un ingenuo. Per quel che riesco a ricordare, sono stato facile preda di venditori, esattori, rappresentanti, operatori d'ogni genere. È vero, solo alcune di queste persone avevano scopi disonesti: gli altri - per esempio, gli inviati di certe istituzioni benefiche - erano animati dalle migliori intenzioni. Fa lo stesso. Con una frequenza imbarazzante, mi sono trovato in possesso di abbonamenti a riviste che non desideravo affatto, o di biglietti per un ballo di beneficenza. Probabilmente questo antico status di vittima designata spiega il mio interesse per lo studio dell'acquiescenza. Quali sono esattamente i fattori che inducono una persona a dire di sì alle richieste di un'altra? E quali sono le tecniche che sfruttano con più efficacia questi fattori? Perché una richiesta formulata in un certo modo viene respinta, mentre una richiesta identica presentata in maniera leggermente diversa ottiene il risultato voluto?


E così, come psicologo sociale, ho cominciato a fare ricerche sulla psicologia dell'acquiescenza. Dapprima il lavoro di ricerca prese la forma di esperimenti eseguiti per lo più in laboratorio su studenti universitari. Volevo scoprire i principi psicologici che intervengono nella tendenza ad accondiscendere alle richieste. Oggi gli psicologi ne sanno abbastanza su questi principi, quali sono e come agiscono. Io li ho definiti "armi di persuasione"; alcune delle più importanti le descriverò nei capitoli di questo libro.


Dopo qualche tempo, però, cominciai ad accorgermi che il lavoro sperimentale, benché importante, non bastava. Non mi permetteva di giudicare l'importanza di quei principi fuori delle mura del laboratorio e dell'università dove li esaminavo. Mi resi conto che se volevo capire appieno la psicologia dell'acquiescenza, avrei dovuto allargare il mio campo d'indagine. Avrei dovuto studiare i professionisti della persuasione, le stesse persone che spesso avevano usato quei principi su di me con tanto successo. Loro sanno che cosa funziona e che cosa non funziona: lo garantisce la legge della sopravvivenza. Il loro mestiere è farci acconsentire alle richieste e i loro mezzi di sostentamento dipendono proprio da questo. Quelli che non sanno portare la gente a dire di sì ben presto escono di scena, quelli che lo sanno fare rimangono e prosperano.


Naturalmente, i professionisti della persuasione non sono i soli a conoscere e usare questi principi a proprio vantaggio. Noi tutti li utilizziamo e ne cadiamo vittime in qualche misura, nei nostri rapporti quotidiani con i vicini, gli amici, la donna o l'uomo amato, i figli. Ma lo specialista ha molto più della nostra vaga e dilettantesca cognizione di ciò che funziona o no. Pensandoci, mi sono convinto che queste persone rappresentavano la fonte più ricca d'informazione cui potessi accedere. Per quasi tre anni, ho combinato i miei studi sperimentali con un programma decisamente più divertente di immersione sistematica nel mondo dei professionisti della persuasione: venditori, esattori, addetti alla selezione del personale, pubblicitari ed altri ancora. Lo scopo era osservare dall'interno le tecniche e le strategie usate dagli specialisti. Il mio programma di osservazione ha preso varie forme: interviste, a volte con i professionisti della persuasione, a volte coi loro nemici naturali (per esempio, poliziotti della squadra antitruffe, associazioni di consumatori); in altri casi l'analisi dei materiali scritti mediante i quali le tecniche della persuasione vengono tramandate da una generazione all'altra, manuali di vendita e simili. Ma soprattutto ho adottato l'osservazione partecipante, un metodo di indagine in cui il ricercatore funge quasi da spia.


Con intenzioni e identità contraffatte, il ricercatore si infiltra nell'ambiente che gli interessa e diventa un membro a pieno titolo del gruppo che intende studiare. Così, quando volevo capire le tattiche di persuasione delle organizzazioni di vendita di enciclopedie (o aspirapolvere, o ritratti fotografici, o lezioni di ballo), rispondevo a un annuncio che ricercava aspiranti venditori da sottoporre a un corso di addestramento e mi facevo quindi insegnare i loro metodi. Con strategie simili ma non identiche, sono riuscito a introdurmi in agenzie di pubblicità, di pubbliche relazioni, di raccolta di fondi, per esaminare le loro tecniche. Gran parte dei dati che riferisco in questo libro proviene quindi dalla mia esperienza nelle mentite spoglie di professionista della persuasione, o aspirante tale, nelle più varie organizzazioni dedite a ottenere l'assenso delle persone.


Un aspetto di ciò che ho imparato in questi anni di osservazione partecipante è stato molto istruttivo. Benché esistano migliaia di tattiche diverse che gli specialisti dell'acquiescenza usano per ottenere l'assenso, la maggior parte rientra in sei categorie base. Ciascuna di queste categorie è governata da un principio psicologico fondamentale che orienta e dirige il comportamento umano e pertanto dà alle tattiche usate il loro potere. il libro è organizzato intorno a questi principi, uno per capitolo. I principi - coerenza, reciprocità, riprova sociale, autorità, simpatia e scarsità - sono esaminati ciascuno alla luce della funzione che svolgono nella società e dei modi in cui la loro enorme forza può essere utilizzata dai professionisti della persuasione, che sanno introdurli abilmente nelle loro richieste di acquisti, donazioni, concessioni, voti, assenso, ecc.


Vale la pena di notare il fatto che non ho incluso, fra i sei principi sopra citati, la semplice regola dell'interesse materiale, secondo la quale le persone intendono ottenere il massimo del vantaggio con il minimo del costo. Da questa omissione non è affatto lecito inferire che io ritenga ininfluente, nei nostri processi decisionali, il desiderio di ottimizzare il rapporto tra costi e benefici: anzi, dai dati di cui dispongo, i professionisti della persuasione sembrano ben consapevoli del potere di questa regola. Nelle mie ricerche, infatti, mi è spesso capitato di osservare specialisti che facevano uso (talvolta in modo onesto, talvolta no) dell'irresistibile approccio che consiste nel far subodorare un buon affare. Ho scelto di non trattare separatamente in questo libro la regola dell'interesse materiale semplicemente perché la considero niente più che un dato motivazionale, un fattore implicito in ogni scelta, che va indubbiamente riconosciuto come importante ma che non necessita di una descrizione dettagliata.


Infine, di ogni principio si esamina l'attitudine a produrre un certo tipo preciso di acquiescenza automatica e distratta, cioè la disponibilità a dire di sì senza rifletterci prima. I dati fanno pensare che il ritmo sempre più accelerato della vita moderna e l'ingorgo d'informazioni renderanno sempre più diffusa in futuro questa forma particolare di acquiescenza inconsulta. Sarà quindi sempre più importante per la società capire il come e il perché della persuasione automatica.


È passato ormai del tempo da quando la prima edizione di questo libro è stata pubblicata. Nel frattempo, sono intervenuti alcuni cambiamenti di cui, in questa nuova edizione, ritengo si debba tener conto. In primo luogo, adesso sappiamo di più sulla persuasione. Lo studio dell'acquiescenza, dell'influenza e dei mutamenti decisionali ha compiuto molti progressi, e i capitoli che seguono sono stati adattati in modo da riflettere l'avanzamento della ricerca. Oltre ad aggiornare il vecchio materiale, mi è parso comunque opportuno tenere in qualche considerazione le reazioni dei lettori della prima edizione delle Armi della persuastione. Molte persone, dopo la lettura del libro, mi hanno scritto per comunicarmi come alcuni dei principi da me illustrati avevano agito su loro stessi in qualche particolare circostanza concreta: ne sono risultate delle brevi descrizioni di fatti quotidiani che ho inserito in una serie di appendici alla fine di ogni capitolo, e che illustrano chiaramente con quale facilità e frequenza possiamo essere vittime delle armi della persuasione nella nostra vita quotidiana.


Desidero ringraziare le seguenti persone che, sia direttamente sia tramite i loro esercitatori universitari, hanno dato il loro contributo al materiale riportato in tali appendici: Pat Bobbs, Mark Hastings, James Michaels, Paul R. Nail, Alan J. Resnik, Daryl Retzlaff, Dan Swift e Karla Vasks. Infine, vorrei invitare anche i lettori di questa nuova edizione a farmi pervenire (presso il Dipartimento di Psicologia della Arizona State University, Tempe, Arizona, 85287-1104) simili esempi e descrizioni, che potrebbero venire inseriti in un'eventuale terza edizione del volume.


Robert B. Cialdini



Las formas ocultas de la publicidad y propaganda
Publicidad de Empresas Polar
Propaganda de Salas Romer
Publicidad de Empresas Polar

De acuerdo al libro del autor Vance Packard en su libro titulado "Las formas ocultas de la publicidad y propaganda nos encontramos con elementos interesantes para analizar en los anuncios escogidos por el grupo.

La publicidad analizar es la del grupo Polar, que desde el primer momento se da cuenta la persona, debido a que esta goza de elementos institucionales, que engloba en ese comercial todo el sentimiento y el grupo de marcas como Pepsi, Polar, Mavesa y Primor que ellos producen en sus distintas plantas.

En el comercial de empresas Polar, se encontraron varias claves importantes que constituyen nuestras necesidades, anhelos y deseos que despiertan el interés del público televidente.

De acuerdo a las 8 necesidades básicas identificadas en el comercial, tenemos un elemento indispensable como lo es vender seguridad emocional, porque despierta ese anhelo e identificación por ser una de las marcas productoras por excelencia del país, ya que todos los productos que ellos producen engloban el 80% de lo consumido en el país, lo que quiere decir que todas las personas que compren x producto, es un producto Polar.

Se vende seguridad emocional cuando las empresas Polar dan esa identificación de sus productos con Venezuela, con ese capital humano que son las personas, aparte del compromiso que la misma empresa ofrece, al decir no están solos, las empresas Polar seguirán dando y ofreciendo un compromiso con el pueblo venezolano. Mediante este efecto se explota otro elemento indispensable que son los sentimientos de las personas al sentirse parte del país, al sentirse consumidor y al sentirse también que los problemas que suceden son problema de todos.

Al vender una afirmación del propio valer en la publicidad de empresas Polar, sé exaltan los valores y motivos de orgullo de lo que significa ser venezolano, de cómo las empresas Polar bajo el grupo de marcas que engloba este comercial, crean un compromiso serio y establecen la afirmación que fabrican productos que gozan de una alta calidad en el mercado. Al influir mediante estos métodos de persuasión, las personas piensan lo mejor de la marca al decir: estamos comprometidos con ustedes.

Un elemento clave es que establece la imagen sobre todas las cosas, al ver como las empresas Polar pone énfasis a las capacidades de compromiso, desarrollo y liderazgo en Venezuela.

Otro elemento clave es vender una satisfacción por el propio yo, que de acuerdo al libro de Vince Packard es considerado por vender una confianza, ya que sin duda las personas que adquieren un producto, ya sea pepsi, chess tres, cerveza polar o algún producto bajo la misma marca, las personas se dejan influenciar mucho por los comentarios y recomendaciones de otras personas, no solamente por el comercial que demuestre satisfacción, sino al consumirlos.

Las personas al analizar y ver un elemento clave que es satisfacción, aparte del compromiso y calidad de la marca a través de su publicidad, no solamente sé siente identificados, sino también comprometidos ya que le venden una satisfacción de ser la marca mas vendida además que genera confianza al decir estamos aquí, continuamos y ahora seguiremos produciendo para la nación.

Al analizar el pasaje que habla sobre las facultades creadoras, sin duda se establecen infinidades en el comercial, ya que con productos como Pepsi, Mavesa y arroz Primor que son hechos y patrocinados bajo la marca Polar, establece sentimientos de las infinidades de cosas a realizar, preparar con los distintos rubros que ahí se producen.

En elemento llamado vender objetos de amor, se puede establecer una comparación indispensable e inequívoca, de que el elemento de amor más emotivo en la publicidad analizada es el compromiso de seguir en el país a pesar de la situación económica y de paralización que ha vivido Venezuela. además la música, el estilo de publicidad es conmovedora, ya que explota ese sentimiento del venezolanismo, debido a que el amor se manifiesta de mucha maneras, y es el sentimiento, la empatía que existe entre los ciudadanos de viven en un mismo país, que coinciden en este comercial.

La necesidad de poder envuelta en este tipo de publicidad es evidente, ya que Polar es una empresa que produce varios productos, pero a la vez también es una marca de cerveza, lo que conlleva a resaltar las virtudes tanto masculinas como femeninas de tomar o comer cualquier tipo de producto que englobe dicha empresa. Este tipo de sensación crea o despierta un sentido de interés en el público, al explotar las necesidades alimenticias con el compromiso con el consumidor.

Al vender sensación de arraigo empresas Polar en su publicidad, esta vendiendo años de experiencia, asociando uno de los productos mas viejos como lo es la cerveza, con los nuevos productos como Pepsi, y los otros snack o pasapalos que vende una de mas multimarcas mas presentes en el mercado.

Se asocian las viejas costumbres venezolanas con el compromiso, al ser un producto consumido de varias generaciones con el futuro, y muestra de ello son los cambios que ha tenido el elemento gráfico del oso polar, desde el punto de vista de los colores, que antes eran mas grises y con un oso sentado, hasta ser lo que es hoy en día es su nuevo símbolo gráfico, con colores más vivos y con una figura adaptada a estos nuevos tiempos de cambio, producto de las exigencias del mercado y de la globalización.

Uno de los elementos que parece no estar presentes en el comercial, pero existe muy implícito, es el elemento clave como vender inmortalidad, al decir que los productos de la marca polar seguirán en el mercado a pesar de todas las vicisitudes y problemas que puedan estar pasando en el entorno económico, político y social venezolano. Por ende es un elemento que las personas valoran ya que da un sentimiento que va más allá del trasfondo personal, es el psicológico, ya que las personas pueden envejecer pero el producto se renueva y la marca sigue con sus compromisos, y con ese público consumidor.

Como lo establece Vance Packard en su libro donde dice: "la perspectiva de la inmortalidad a través de la perpetuación de su influencia, lo que no quiere concebir es la muerte física ni su olvido". Lo que quiere decir con este tipo de mensajes ya sea en la publicidad y sus distintas formas, sé logra posicionar en la mente de ese público receptor con el fin de tener un índice de recordación que puede llegar hacer inmortal si esa marca vende una gran gama de productos como empresas polar.

Un tipo de inmortalidad usado en este tipo de comercial es la de protección anhelada, al concentrarse en problemas emocionales como los vividos durante el paro y al reafirmar el compromiso. Se pinta o se establece un factor clave como la seguridad, la unidad de la marca con el pueblo y la personalidad viva, al decir estamos presentes con ustedes como elemento clave al abastecer los diferentes tipos de mercados.

El ser humano es un ser que necesita sentirse tomado en cuenta, como lo sugiera la pirámide de las jerarquía de las necesidades de Maslow, el hombre tiene distintos tipos de necesidades pero las básicas son vestido y alimentación, siendo la última una de las mas importantes. Es ahí donde se enfoca el autor Packard al enfocar el sentido de seguridad, satisfacción, compromiso y emotividad entre otras.

Las necesidades desde el punto de vista del trasfondo psicológico explotado en este importante libro con respecto a la publicidad de Polar, se ve claramente como en un tipo de publicidad se establece un compromiso de marca hacia las personas y por ende crece el nivel de optimismo y seguridad hacia determinado anuncio visto en televisión, además el factor emotivo al decir estamos contigo, te damos confianza, polar seguirá contigo a pesar de la situación. Estos elementos valorativos, equilibrados se entrelazan en dicho comercial al establecer un compromiso.

Un ejemplo claro y real relacionado con industrias polar, es el desabastecimiento de la harina Pan, que al no estar presente en el mercado por razones políticas y económicas por el libre cambio de dólares para producir ciertos rubros, crean inquietud dentro el público consumidor al no satisfacer las necesidades del mercado. Por eso es necesario y bien tratado en la publicidad analizada el compromiso y respaldo de la marca, para que las personas no estén inseguras y tengan en cuenta que ellos seguirán presentes por mucho tiempo a pesar de las razones mencionadas anteriormente.

La publicidad de empresas Polar es un buen caso de análisis debido a que cada una de sus partes reflejadas en el comercial, explota esas necesidades ocultas que todos los seres humanos necesitan que se tomen en cuenta para su propia satisfacción. Todo ser humano tiene necesidades ocultas que necesitan ser satisfechas y no solamente eso, sino ser tomadas en cuenta por parte de ese tipo de comerciales.

Al establecer un compromiso, seguridad y desarrollo se crea un sentido de confianza entre los consumidores de determinado producto, que se aplica a nivel de mercadeo y a nivel psicológico con lo planteado en el libro.

Propaganda de Salas Romer

Al analizar la propaganda política del excandidato a la presidencia Enrique Salas Römer, quién también fuera gobernador del Estado Carabobo, conseguimos elementos indispensables para analizar con respecto al libro de Vance Packard.

Al empezar la propaganda política de dicho candidato, hay un primer elemento clave, que es el paso de los últimos cuatro años de gobierno connotados desde un fondo negro, donde se muestran cada uno de los años transcurridos.

Desde ese comienzo el excandidato habla sobre los últimos cuatro años de gobierno del presidente actual, resaltando que no se ha hecho nada, además diciendo que ya llego la hora de un cambio, y ese cambio tiene que ser ya, además que lo dará el pueblo venezolano.

Viendo ese mensaje de índole política se aprecia como una propaganda y su respectivo mensaje oculto o de trasfondo persuade a ese público que está al otro lado de la pantalla de el televisor, debido a que se estudia un elemento recalcado en el libro y que es muy evidente, ya que todos los anuncios sé examinan cuidadosamente para saber como quieren los realizadores que estos mismos reaccionen, tanto a niveles concientes como inconscientes, ya que todo presenta un mensaje que va mas allá de lo meramente dicho.

Se establecen en este tipo de propaganda las verdaderas razones por que la gente las quiere ver, es decir antes de persuadir se estudian los elementos claves que las personas quieren escuchar, y es evidente como por ejemplo el descontento popular de la mayoría de las personas que no aprueban la gestión del gobierno de Chávez, y es por ello que Salas-Romer hace alusión, que ha llegado la hora del cambio.

De acuerdo a la investigación motivacional y de propaganda, nos dice que los mensajes deben ser de interés para todos mediante una investigación sobre los aspectos mas importantes que generan la motivaciones humanas. Se explota una figura o elemento que es la desesperación de cambio de presidente, debido a que lo esta realizando mal por ende el mensaje de una figura optimista, que la hora ha llegado.

La persuasión o convencimiento se logra diciendo los puntos clave de una investigación sobre la opinión pública, al ver elementos que las personas rechazan o aprueban como en el caso de esta propaganda política bien realizada.

Propagandas como la de este excandidado que al parecer aspira a una futura presidencia, se da por medio de aspectos psicológicos muy bien reflejados en la calle debido a la protesta, también a través de otros medios de comunicación que reflejan la actualidad día a día generando mayor descontento, lo que hace que este tipo de mensajes sea mayor reforzado, por que todo el tiempo escuchamos de lo mismo, que si la crisis económica, política, y la supuesta salida electoral o no del actual mandatario nacional.

Uno de los pasajes del libro dice: "lo que ustedes deben hacer fundamentalmente es crear una situación ilógica. Ustedes necesitan que el cliente se enamore del producto que le ofrecen y que arraigue en él una profunda lealtad"... Lo que nos quiere decir que en el caso de la propaganda ha analizar se fundamenta en hechos de origen ilógicos como la inestabilidad política del país, lo que la gente desea es en el caso de Salas-Romer, es una figura de estabilidad y tranquilidad que garantice no sólo liderazgo, sino el compromiso y desarrollo con su pueblo.

Se construye una imágen, si en los medios de comunicación como en la televisión, sale siempre un candidato político no hablando bien de si mismo, sino explotando las debilidades de otros sin enfocarse el mismo debido a que se explota el idealismo, personalidad y se crea como dice en el libro una autoimagen del candidato idóneo.

Se exploran cuidadosamente las llamadas secretas miserias y dudas que se vienen a reforzar con la propaganda del Salas-Romer, debido a la manipulación de sentimientos de culpa (por haber votado o elegido a otro candidato que no sirve), también a los temores, la ansiedad y a las tensiones internas tales como la desesperanza como ejemplo claro que el desempleo aumenta cada día producto de las políticas erradas del gobierno.

Desde el punto de vista motivacional, el medio de comunicación al realizar esa propaganda política, estudia los métodos para hacernos superar los temores, mediante mensajes de interés y optimistas mostrados en la propaganda.

En la propaganda se vende la seguridad emocional, que muestra el candidato con sus convicciones y poder de la palabra, también por su mirada directa hacia el público. Se vende afirmación que hace valer por todas las demás, al dejar de entrever que con él mismo hay un cambio.

Al hablar del elemento poder total, significa que el poder total esta en manos del elector, aparte de incentivar el cambio, se impulsa que a través del voto es el cambio, por ello la importancia de votar como trasfondo político.

Un aspecto importante de implícito en el comercial del excandidado Salas-Romer sobre los aspectos del simbolismo de determinada propaganda al decir la revista Advertising Angecy, que los elementos gráficos, simbólicos que están dentro del mensaje como los colores crean esperanzas desde el punto de vista psicológico.

Al analizar hacia donde va dirigido este tipo de mensajes nos encontramos que de acuerdo al libro de Vance Packard, nos dice sobre los distintos tipos de clase hacia donde se dirigen los mensajes, como la alta superior, la baja superior, la alta media, baja media, la alta inferior y la baja inferior. Al dar un mensaje por televisión no quiere decir que determinada clase no lo vea sino que ciertas clases más estudiadas y con mayor estatus social entenderán mejor mi mensaje con respecto a la clase más baja.

De acuerdo a Lloyd Warner, describir la situación con respecto al sistema de clases, que opera como factor que está en el mismo centro de la vida y es la fuerza mas impulsiva de muchas personas, al decir, lo que llaman la movilidad social, el impulso ascendente, el afán de logro y el movimiento de un individuo y su familia de un nivel hacia otro superior de manera que la gente adquiera una condición de vida mas elevada. Al analizar lo anteriormente expuesto, nos quiere decir a través de este tipo de propaganda política, el candidato deja en claro que debe haber un cambio, y que ese cambio puede generar un impulso en la economía para generar riquezas y fuentes de empleo, que es la necesidad básica de la población.

Los que estudian los métodos más efectivos para vender símbolos de condición social a las personas, afirman que la mayoría son vulnerables a las siguientes tácticas comerciales como: ofrecer grandezas en el caso de la propaganda, al crear una buena impresión de parte del señor Salas-Romer. Otra que se pone en práctica en la propaganda es el llamado del candidato, al generar conciencia de los años que han transcurrido desde que inicio el gobierno, se han agravando los problemas de toda índole en le país.

Hay que hacer una interesante distinción en lo que se refiere a la actitud de la gente frente a una propaganda. Si existe aunque sea una promesa básica como lo es en nuestro caso de análisis, entonces se estará generando un cambio psicológico a nivel conductual al recibir este mensaje.

Una de las figuras mas importantes en la propaganda es la llamada manipulación política efectiva, que da cambios en la vida política del público, mediante el impacto emotivo ejercido por el candidato rival, mediante el uso de técnicas proyectivas para descubrir o mostrar la imágen del candidato a las personas. Por medio de esta, se establece que el candidato es sincero, elocuente, capaz y todas las razones fijadas para que su mensaje sea creíble.

En la propaganda de Salas-Romer se muestra la cara del cambio con razonamientos lógicos que las cosas no han funcionado y por ende se muestra él como una alternativa poco vista o percibida durante los últimos años del gobierno chavista.

Uno de los aspectos claves en cualquier propaganda es la persuasión mediante las relaciones publicas que tenga ese candidato con respecto a las personas, ya que a través de ello trata de aumentar su poder de penetración en el público, además de tener influencia y saber lo que la gente quiere escuchar por parte de ese candidato.

De acuerdo con el libro nos dice: "La gente debe ser dirigida mediante la manipulación de sus instintos y emociones, más que cambiando sus razonamientos. De esto siempre han echado mano los políticos cuando han tratado de persuadir a sus electores dirigiéndose a sus sentimientos, en vez de emplear razones que nunca serian oídas o por lo menos no resultarían efectivas para sacudir las multitudes". De acuerdo a lo anteriormente expuesto, el señor Salas-Romer, explota exactamente lo mismo en su propaganda, al dirigirse hacia los sentimientos encontrados y de desesperación por parte de las personas.

Ganarse la confianza de la mente colectiva del público es una tarea monumental, sin embargo la industria de la publicidad y propaganda parece haberlo logrado.

Uno de los aspectos ligados con los sentimientos y ligados al índole político es el factor psicológico, a través de él se estudian todos los aspecto y estrategias a tratar por determinado candidato, persona o producto para llegar a la conciencia del colectivo, creando un factor llamado estimulo respuesta.

Los esfuerzos de los persuasores por descubrir nuestros hábitos y sentidos ocultos, interesan muchas veces tan sólo por los imprevistos rasgos nuestros que revelan. Los investigadores buscan el porque de nuestra conducta de modo que puedan manipular eficazmente los hábitos y preferencias para ventaja suya.

La investigación motivacional juega un gran papel en esta clase de propaganda, ya que tratan de indagar los motivos que inducen a elegir al candidato, utilizando técnicas destinadas a llegar al inconsciente y subconsciente. Por ello en la propaganda anteriormente analizada se resaltan todos los aspectos que logran, que se construya una clase de mensaje como el dicho por el candidato en su exposición.






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NEWS & RIFLESSIONI
QUI PARLO DI MARKETING E DI COMUNICAZIONE, CON UN OCCHIO DI RIGUARDO AL MIO LAVORO, IL COPYWRITING, AL WEB MARKETING E ALLA LINGUISTICA. QUANDO SONO DISPONIBILI, PUBBLICO ANCHE AGGIORNAMENTI SUI LAVORI CHE HO ESEGUITO
lunedì 12 marzo 2007
LE CINQUE GENERAZIONI DELLA PUBBLICITÀ
Terzo di una serie di cinque articoli

Questa serie di articoli è ripresa da quella che ho scritto nel 1992 per DORLAND NEWS, l'house organ di DORLAND-AYER, la più grossa agenzia per la quale ho lavorato, house organ di cui avrei assunto la gestione operativa alcuni mesi più tardi.

Lo scopo non è tanto quello di ripercorrere le tappe storiche della comunicazione di impresa, quanto piuttosto di capire il perché e il come di una evoluzione a valanga.



La terza generazione: i "Persuasori Occulti" e la suggestione

È solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, con il conseguente crollo del vecchio ordine politico, sociale ed economico e la conseguente "colonizzazione" culturale ed economica dell'Europa impoverita da parte americana, che anche da noi si sviluppa il marketing vero e proprio che, negli Stati Uniti, intanto, sta subendo nuove e più importanti trasformazioni.



Come la teoria economica insegna, per ciascun mercato esiste la tendenza, da parte del leader, a raggiungere una posizione di monopolio, quando non ne è impedito da fattori limitanti di natura politica. In America, con la spinta economica e produttiva dovuta alle commesse belliche e ai programmi di assistenza per le nazioni sconfitte, ma non solo ad esse, si sono sviluppate industrie con potenzialità multinazionali che, presto, si sono stabilite nei territori in cui erano di stanza i G.I. Questo ha avuto come conseguenza la nascita del marketing strategico secondo la scuola di Boston (Boston Consulting Group), e di politiche produttive non più basate su un unico prodotto, o su una sola marca. I grandi complessi industriali americani, anche se all'epoca non sentivano ancora la necessita di acquistare filiali all'estero, avevano tuttavia già posto le premesse per la loro espansione in tutto il mondo, iniziando la loro ragnatela globale.

Questo è il periodo in cui iniziano a prendere piede i punti vendita di grande superficie, come i supermercati e gli ipermercati, che si sostituiscono, poco per volta ai dettaglianti tradizionali. In essi, evoluzione dello spaccio di paese come quelli dei film western, il commesso è praticamente inesistente e bisogna sopperire alla carenza dell'usuale consigliere d'acquisto con nuove forme di stimolo.

È la pubblicità la protagonista principale di questa evoluzione del marketing, anche se, innanzitutto, è alle ricerche di mercato che viene chiesto di fornire non più solo la composizione del pubblico, la sua propensione all'acquisto e le motivazioni palesi per tale comportamento, ma anche, attraverso l'uso della tecnica psicoanalitica, di recente introduzione, di definire il rapporto inconscio tra il consumatore e i prodotti, e anche con l'azienda produttrice. la speranza , come denuncia con veemenza Vance Packard in un libro che ha fatto epoca, anche se solo per il suo tono scandalistico, "I Persuasori Occulti", di riuscire a stabilire un rapporto meccanico tra comunicazione e azione nel consumatore.



Le ricerche motivazionali di Ernest Dichter scoprono sì un universo di legami inconsci tra i soggetti analizzati e i prodotti di consumo, ma ci si rende rapidamente conto che, ne i meccanismi behavioristici, ne la psicologia della gestalt possono essere usati come si era sperato, per creare dei riflessi condizionati di tipo pavloviano. Anche se la dissonanza cognitiva, ovvero, quella tecnica espressiva che tende a creare uno stato di malessere nel destinatario della comunicazione commerciale perché esso vi ponga rimedio acquistando l'oggetto che è la causa del suo stato di angoscia, ha effetto solo finché il soggetto è in uno stato di ipersensibilità. Tuttavia ci si rende effettivamente conto che, nella nuova organizzazione del punto vendita, i meccanismi inconsci sono quelli che guidano il consumatore all'acquisto d'impulso.

Inoltre, un'altra nuova tecnica di ricerca, l'analisi psicografica, permette ora di verificare anche i rapporti di valore delle diverse fasce di consumo, non più divise unicamente per gruppi socio-economici, ma soprattutto per gruppi di affinità? culturale. Nascono i concetti di target e di segmentazione del mercato, che permettono una più spinta ottimizzazione delle risorse produttive, della distribuzione e della spesa promozionale.



Per adeguare la comunicazione alla nuova impostazione del commercio, le agenzie di pubblicità producono nuove forme di approccio: essenzialmente vengono sviluppati due nuovi concetti. Il primo è di natura essenzialmente tecnica, la campagna pubblicitaria integrata, ovvero una serie di azioni di comunicazione articolata su più media e destinata ad assicurare la copertura in tutte le fasi della vita del prodotto e in tutto il ciclo di consumo, concetto espresso con la cosiddetta formula D.A.G.M.A.R. (Definining Advertising Goals for Measured Advertising Results - Definizione di Obiettivi di Comunicazione per l'Ottenimento di Risultati Quantificabili) per la pianificazione delle strategie, e del modello AIDA per stimolare gli acquisti d'impulso, azioni che, oltretutto, si avvalgono del grosso successo del nuovissimo arrivato nel settore dei media, la televisione, con la sua altissima capacità di penetrazione e di segmentazione del pubblico a seconda delle fasce d'ascolto, ma con costi iniziali d'acquisto degli spazi estremamente elevati, causa il passaggio, nella pianificazione e nell'acquisto dei media, dal concetto di costo contatto a quello di Gross Rating Points (G.R.P.), ovvero del numero di contatti in target, e a tecniche basate contemporaneamente sulla valutazione di dati di statistica macroeconomia e sulle tipologie di consumo dei prodotti, per l'elaborazione delle quali, oltretutto, si inizia ad avvalersi dell'assistenza di un altro nuovo miracolo della tecnologia, il computer.

La seconda innovazione è di ordine creativo. Nell'elaborazione delle strategie creative vengono introdotti concetti che rispondono ai nomi di Claim, Positioning, Consumer's Benefit, Reason Why, Plus, Brand Image, Desired Consumer Response e Tone of Voice.





I personaggi chiave di questo periodo della storia della pubblicità sono soprattutto dei copywriter, come Rosser Reeves della Ted Bates, creatore della formula detta "Unique Selling Proposition" (U.S.P.), secondo la quale il prodotto deve essere venduto per una sua proprietà esclusiva, vera se esistente, o creata ad hoc se esso non presenta alcuna caratteristica di rilievo. Reeves, però è ancora un pubblicitario della vecchia scuola, sostenitore della vendita aggressiva, sempre meno accettata dai consumatori. Siamo arrivati agli anni 'sessanta, il periodo della contestazione e dell'anticonsumismo ad oltranza. L'industria scopre che non può più considerare i consumatori esclusivamente come soggetti passivi, ma che ormai deve restituire sotto forma di immagine e di gratificazioni per gli utenti una parte dei sui crediti.



E la pubblicità sforna nuovi eroi, quali David Ogilvy, che nel suo libro "Confessioni di un Pubblicitario", uscito nel 1963, è il primo personaggio della pubblicità a rivolgersi al grosso pubblico per spiegare i "segreti del mestiere", o come Bill Bernbach, il primo direttore d'agenzia a privilegiare la creatività pura piuttosto che quella condizionata dai copy-test e dalla redemption, e che ha prodotto campagne storiche, come quelle della Volkswagen, proseguita per un lunghissimo numero di anni con la stessa impostazione, modificando, volta per volta, unicamente il soggetto degli annunci.



Verificate anche su The Advertising Century di Advertising Age.


To my English speaking readers

There is a good deal of information in English in the sites I quote. Please check the links. For the usual translation of this page, please check the Google link below.

BEWARE, IT IS TOTALLY INACCURATE!

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postato da AAA Copywriter alle 19:32 8 Commenti Link a questo post

8 Commenti:
sacha catalano ha detto...
Anche se pensavo di non farcela, ho letto le prime uscite di questa serie di articoli molto interessanti...
Scoprire l'evoluzione passata dell'advertising può indicarci la strada che questa attività umana imboccherà nel futuro.
attendo il seguito con curiosità.
Ciao

12 marzo 2007 22.24
AAA Copywriter ha detto...
Beh, non scappano mica... Ma si, hai ragione, anche se qui la storia dell'advertising l'ho presa molto alla leggera (mentre lo sono molto di meno i link e i riferimenti), l'idea di base, nel rivangare cose scritte 15 anni fa, era proprio quella. Infatti è il queinto articolo, quello che devo ancora scrtivere di sana pianta che mi preoccupa. Tirare delle conclusioni in una situazione così poco definita come quella dell'avertisig di adesso non sarà facile. Fammi gli auguri! :)

Alex

12 marzo 2007 22.32
MarketingPark ha detto...
Sui "persuasori occulti" ed un certo tipo di pubblicità, il mio prof. di Lettere in IV° ginnasio dedicò una intera settimana di lezioni ed esempi.
In quei giorni furono messe da parte le guerre greco-persiane.
Fu l'inizio di un percorso che si concluse con la lettura di Eco e del suo "Diario Minimo", che è rimasto negli anni il mio vademecum-portafortuna.

13 marzo 2007 9.59
AAA Copywriter ha detto...
Ho letto Vance Packard molto in riitardo rispetto alla pubblicazione, per rimanere inorridito davanti alle scempiaggini che era riuscito a mescolare a delle indubbie verità. Ma anche per me Eco è stata una lettura rivelatrice, non solo con i suoi libri principali, ma anche nelle raccolte di "Bustine di Minerva", vedi "La notizia Findus" e "L'opera aperta"...

Alex

13 marzo 2007 10.09
Pier Luca Santoro ha detto...
Divulgativo ma assolutamente interessante. Sino ad ora ho seguioto tutte "le puntate", sono davvero curioso di arrivare ai giorni nostri.
Un abbraccio.
Pier Luca Santoro

14 marzo 2007 12.49
AAA Copywriter ha detto...
Si, lo ammetto, l'intento originario era di spingere la pubblicità emozionale, allora cavallo di battaglia di Dorland con il claim "L'emozione al potere" (eravamo nel 1992), ma adesso, adattando l'articolo per il web ho tentato di rimediare inserendo dei link che danno un'idea molto più completa dell'argomento. In particolare quello di AD Age. Il quinto capitolo, allora ne esisteva. Quello lo scriverò ad hoc...

Ricambio l'abbraccio! :)

Alex
14 marzo 2007 12.56
parolamia06 ha detto...
A quando la prossima uscita?

15 marzo 2007 10.46
AAA Copywriter ha detto...
Tra un paio d giorni...

Alex

15 marzo 2007 11.09
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...NON sono una agenzia di pubblicità e comunicazione creativa specializzata in strategie di comunicazione, copywriting in lingua, web copywriting e localizzazione di campagne pubblicitarie. ??AAA Copywriter Pubblicità Varese sono solo io, Alex Badalic. In pubblicità dal 1969. Dopo anni in azienda, sono stato consulente di numerose imprese ed agenzie, mi sono occupato di radio, televisione musica, editoria pubblicità e ho diretto un istituto di ricerche di mercato. Sono un copywriter strategico e pianificatore di strategie di comunicazione, freelance dal 1983, e opero come consulente per agenzie di pubblicità e web agency. Occasionalmente gestisco anche clienti diretti. Scrivo i miei testi indifferentemente in inglese, francese e tedesco, oltre che in italiano, sia off-line che per campagne sul Web. Per me vale ancora il principio di David Oglivy: "Not rules, fools, tools".

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